Al via in Siria la missione di supervisione delle Nazioni
Unite (UNSMIS) per il “rispetto del cessate il fuoco tra le
parti”, autorizzata il 21 aprile scorso dal Consiglio di
Sicurezza (risoluzione n. 2042). A Damasco è giunto il primo
team ONU composto da trenta “osservatori militari non
armati” che verranno poi dislocati in una decina di località
del paese. Da qui a 90 giorni, il numero degli “osservatori”
crescerà a 300 unità, compresi “consiglieri politici ed
esperti nel campo dei diritti umani, dell’informazione e
della sicurezza pubblica”.
È questa una missione ad altissimo rischio: un suo
fallimento potrebbe avere la conseguenza di aprire la strada
ad un intervento militare internazionale per spodestare il
regime Assad. Il Segretario generale delle Nazioni Unite,
Ban Ki-moon, non ha voluto attendere il voto del Consiglio
di Sicurezza per lanciare l’intera operazione. Messosi in
contatto con il governo italiano, ha ottenuto che dal 15 al
17 aprile, cinque velivoli C-130J della 46^ Brigata Aerea di
Pisa venissero impiegati per trasportare a Beirut una decina
di autoveicoli blindati, “materiali e altri mezzi” stoccati
presso il Centro Servizi Globale delle Nazioni Unite (UNGSC)
ospitato presso il distaccamento di Brindisi
dell’Aeronautica Militare. Tutto il materiale inviato è
destinato agli “osservatori” ONU.
Quella brindisina è un’installazione poco nota al grande
pubblico, tuttavia sta assumendo sempre più un ruolo chiave
a livello internazionale. Oltre a fornire il supporto alle
attività di peacekeeping dell’ONU, lo scalo viene utilizzato
come base di “pronto intervento umanitario” del World Food
Program, per l’invio di aiuti di prima necessità in
qualsiasi parte del mondo colpita da un evento calamitoso.
La base di Brindisi è inoltre impiegata dall’Agenzia europea
per la gestione della cooperazione alle frontiere esterne (Frontex)
per le operazioni di pattugliamento aereo dell’Adriatico,
del Canale di Sicilia e dei confini tra Grecia e Albania.
In una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza, Ban
Ki-moon ha reso noto che gli osservatori avranno il compito
di “controllare la cessazione delle ostilità e
l’applicazione degli altri punti del piano di pace”
predisposto dall’inviato speciale delle Nazioni Unite e
della Lega Araba, Kofi Annan. “Valuteremo sul campo gli
sviluppi della situazione, prima di decidere se e quando
espandere la missione”, ha aggiunto il Segretario generale
ONU. L’accordo preliminare con le autorità siriane prevede
che gli osservatori potranno spostarsi liberamente ovunque
“a piedi o in auto”, fare fotografie e “utilizzare le
apparecchiature tecniche necessarie a monitorare il rispetto
del cessate il fuoco”. Potranno installare “temporaneamente”
posti d’osservazione in città e villaggi, “monitorare” i
convogli militari che si avvicinano ai centri abitati,
indagare su ogni potenziale violazione degli accordi
stipulati ed avere accesso ai centri di detenzione in
coordinazione con la Croce rossa internazionale e le
autorità siriane.
Gli “osservatori” saranno inizialmente messi a disposizione
delle forze armate di Brasile, Belgio, Marocco, Norvegia,
Russia e Svizzera. Anche l’Italia potrebbe fare la sua
parte. Il 17 aprile, intervenendo in Parlamento, il
sottosegretario alla Difesa, Gianluigi Magri, ha dichiarato
che il governo è intenzionato “a trasferire un’aliquota
delle forze già presenti in Libano nella vicina Siria”.
Anche Olanda, Serbia, Cina, Croazia, Giordania, Pakistan,
Egitto e Yemen hanno offerto la propria disponibilità ad
inviare personale militare nel paese mediorientale.
Ban Ki-moon ha chiesto all’Unione europea di mettere a
disposizione degli osservatori alcuni elicotteri da
trasporto, in modo da “assicurare mobilità e capacità di
pronta risposta in caso d’incidenti”. Ad oggi, però, Damasco
non ha autorizzato l’uso degli scali nazionali per le
operazioni di volo ONU. “Il regime di Bashar Al Assad non ha
ancora ottemperato ai suoi obblighi di ritirare truppe e
armi pesanti dalle città”, ha dichiarato il Segretario
generale delle Nazioni Unite. “C’è stata un’escalation di
violenza, ma entrambe le parti hanno manifestato
l’intenzione di rispettare la tregua”. Secondo l’ONU,
sarebbero già più di 9.000 le persone assassinate in Siria
dall’inizio delle manifestazioni anti-governative del marzo
2011. Secondo il governo, invece, il numero delle vittime
sarebbe di molto inferiore.
Crescono intanto le pressioni a livello internazionale per
un intervento più “duro” e deciso contro il regime siriano.
Al vertice di Parigi dei cosiddetti “Amici della Siria”
(Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita e Qatar), la
Segretaria di Stato, Hillary Clinton, ha preannunciato che
il proprio paese chiederà all’ONU di decretare “l’embargo
sui viaggi e sulle armi e sanzioni finanziarie”. Il Qatar
punta invece ad una missione multinazionale di
“interposizione” e peace inforcement. Più cauta la NATO, che
per bocca del suo segretario generale, Anders Fogh Rasmussen,
fa sapere che, allo stato attuale, l’alleanza non ha
l’intenzione d’intervenire in Siria. Anche i capi del
Pentagono, secondo l’agenzia Associated Press, si sarebbero
dichiarati fortemente perplessi su un intervento militare
USA. Durante una recente audizione al Congresso, il
segretario alla Difesa Leon Panetta e il Capo di stato
militare, gen. Martin Dempsey, hanno fatto sapere che le
forze armate “sono pronte ad agire”, ma hanno aggiunto
tuttavia che “ci sarebbero forti limiti” per un
coinvolgimento diretto dei militari USA in un’altra guerra
in Medio Oriente “dopo i lunghi conflitti in Iraq ed
Afghanistan”. Panetta e Dempsey hanno comunque preannunciato
il potenziamento delle attività d’intelligence e la
fornitura di non meglio precisati “aiuti umanitari” alla
popolazione siriana, per un valore di 25 milioni di dollari.
Mentre la maggioranza del Congresso si dichiara contraria ad
un’opzione militare contro la Siria, il senatore
repubblicano John McCain (ex candidato alle elezioni
presidenziali del 2008) ha chiesto in Commissione difesa di
inviare i caccia USA a bombardare le postazioni militari
siriane, replicando l’intervento dello scorso anno in Libia.
“Per cambiare gli equilibri militari all’interno del paese è
necessario che gli Stati Uniti, in stretta collaborazione
con i nostri alleati turchi ed arabi, forniscano
all’opposizione siriana l’aiuto di cui essa ha bisogno per
difendersi”, ha dichiarato McCain. “Ciò può includere
l’addestramento e la fornitura di armi ed intelligence
all’opposizione siriana, l’uso del potere aereo per colpire
i centri di comando e di controllo del regime di Assad e
l’aiuto necessario perché l’opposizione crei proprie zone di
sicurezza all’interno della Siria”.
Intanto da Amman giunge a sorpresa la notizia che dal 7 al
28 maggio la Giordania ospiterà un’imponente esercitazione
militare a cui parteciperanno oltre 8.000 militari di Stati
Uniti ed altri 16 paesi Nato ed extra-Nato. L’esercitazione
“area, navale e terrestre” si chiamerà Eager Lion 12 e sarà
focalizzata sulle modalità di “gestione delle crisi” e sulle
“tecniche di lotta al terrorismo”, secondo quanto dichiarato
da un portavoce dal Pentagono.