Quei soldi per il welfare ma non per il debito»
Mercoledì 04 Gennaio 2012 13:04 amministratore
Due senatori del Pd, mai mancati a una “festa” per il rifinanziamento delle missioni, di “pace” naturalmente, hanno chiesto dopo le rivelazioni di Altraeconomia, che l’Italia esca dal programma dei cacciabombardieri d’attacco Joint Strike Fighter F-35. Sono Roberto Della Seta e Francesco Ferrante che presenteranno un’interrogazione parlamentare: «Se c’è un settore dove una rigorosa “spending review” può dare risultati preziosi - dicono i due - questo è il capitolo delle spese militari e in particolare delle somme messe in bilancio per nuovi sistemi d’arma perché l’Italia non ha i soldi per fronteggiare emergenze molto più concrete, dal dissesto idrogeologico all’aumento della povertà».
«Sono insegnante, ci farei scuole, asili nido...», esordisce Norma Bertullacelli alla domanda di Liberazione su cosa si potrebbe fare con tutti quei soldi. «Ma non è importante cosa ci farei, è importante non farne quell’uso lì, fabbricare armi da guerra». Poi ci pensa ancora un istante e spiega come in questi anni la scuola sia stata vittima di tagli dissennati e di come sarebbe giusto che, al posto dei discutibili caccia, si spenda per l’istruzione. «D’altronde la scuola è il contrario di una caserma. Da un lato c’è un posto dove si impara a essere cittadini, dall’altro un posto dove si deve rispondere signorsì senza chiedere mai perchè».
Norma Bertullacelli, classe ’52, «proprio quella fregata da questo governo di “tecnici” come Di Paola», è una pacifista genovese. Domani, come ogni mercoledì da 501 settimane, tornerà sui gradini di Palazzo Ducale per restare un’ora in silenzio contro la guerra. Ogni settimana un volantino diverso. Quello di domani parla proprio di F35. «Lo abbiamo pensato prima del paginone di Repubblica e prima delle dichiarazioni di quegli esponenti del Pd», spiega con orgoglio. «Era ora che succedesse! Questa storia degli F35 ha attraversato ogni governo dal 2002 come tutte le guerre e riguarda anche il Presidente della Repubblica, capo delle forze armate e garante della Costituzione ma che forse non ha letto l’articolo 11. Nel 2002 fu proprio l’attuale ministro della Difesa a sottoscrivere il Memorandum of understanding per il progetto dei 131 aerei. Da quanto si racconta che siamo in crisi le uniche spese sempre aumentate sono quelle per le armi», dice Norma aggiungendo che c’è una cosa che non ci farebbe con quei soldi: «Non ci pagherei il debito perché non l’hanno contratto i lavoratori. Secondo me non va pagato, facciamo magari come l’Islanda. Quando nel 1970 gli Usa hanno denunciato gli accordi di Bretton Woods e dichiarato la non convertibilità del dollaro, nessuno gli ha dichiarato guerra, dunque nessuno la dicharerebbe a noi. E comunque - scherza - anche noi siamo armati fino ai denti». Rinfrancati dal successo del 28 dicembre quando c’è stata la 500ma ora di silenzio per la pace, i pacifisti genovesi rilanciano la lotta saldandola con le vertenze contro la crisi. La sala concessa da Tursi per l’evento era troppo piccola al punto da convincere Gian Maria Testa e il coro Daneo a suonare in cortile per quanti erano restati fuori (www.youtube.com/watch?v=vAGBd8RqfLU&feature=youtube_gdata_player)
A proposito di connessioni, il cronista domanda: «Pensi che dai risparmi eventuali sulle spese militari si possano trovare i soldi che mancano al fondo per l’editoria?» «E perché no?! Il motivo per cui noi stiamo lì, sui gradini del Ducale, è lo stesso per cui Liberazione andava e andrà in edicola: offrire un punto di vista diverso. Chi si ricorda le cause reali della guerra in Afghanistan? Dieci anni dopo nessuna delle promesse è stata mantenuta: non c’è giustizia lì, né democrazia, né pace.
Pensa alle armi di distruzione di massa di Saddam solo noi pacifisti avevamo capito che non era vero».
Dopo 500 settimane anche qualche giornale mainstream s’è accorto di chi manifestava in silenzio in Piazza De Ferrari e ha chiesto loro se aspirino al Guinnes. «Macché, appena finiscono le guerre ce ne torniamo a casa. Non vediamo l’ora che non ci sia più bisogno di noi».
di Checchino Antonini da Liberazione del 04.01.12