Angelique e le parole rifugiate dei bambini
SETTEMBRE
2015
Ci sono voluti due anni per trovare le parole. E altri due per liberarle.
Angelique si è rifugiata dietro le sue parole. Per sette anni l’altro genocidio
l’inseguiva. Nella foresta tropicale dello Zaire fino alla salvezza nell’altra
repubblica. Quella Centrafricana oggi preda degli stessi demoni. Lei, fuggita
con la madre, la sorella e il fratello più piccolo. L’ennesimo genocidio del
Rwanda che nel ‘94 aveva causato la morte di migliaia di persone in pochi mesi.
Chi era ucciso e chi doveva rifugiarsi per evitare le rappresaglie. Hutu e Tutsi
e viceversa. Migliaia di persone che, come Angelique, hanno toccato l’inferno
ogni giorno, per sette anni. Lei ha scritto per liberare le parole. Sono loro
che l’hanno liberata dalla prigione della paura e dell’odio. Parole rifugiate di
bambina.
Seduta in casa racconta che l’Angelica, autrice del libro e l’altra che ora
parla non sono più le stesse. La prima è scomparsa tra le parole rifugiate nel
libro, le punteggiature, le date e i nomi degli scomparsi. Il titolo del suo
scritto, presentato in vari paesi d’Europa e d’Africa, recita ‘ I bambini del
Rwanda’. Quelli che sono morti nelle foreste e quelli sulle spiaggie. La foresta
nasconde, copre, inghiotte, proprio come il mare. Nessuna foto da pubblicare.
Sono i bambini del Rwanda, ostaggi delle guerre dei grandi, vittime a loro volta
di altri. Dopo i massacri ogni persona Hutu era ormai una vittima dei Tutsi che
nel frattempo avevano preso il potere. Gli Hutu si erano rifugiati nel vicino
Zaire, in campi profughi minacciati dai militari Tutsi. Lo Zaire era in guerra
civile.
Angelique passerà qualche mese a Niamey. Lavora con l’Unione Europea ed è già
stata inviata in missione in Centrafrica coi rifugiati, dove era stata salvata.
Consulente per i diritti umani Angelica adesso ospita le parole rifugiate di
altre donne. Come con lei le parole sono schiave del dolore del passato. E’stata
accolta come rifugiata nel 2001 in Danimarca. L’aereo, preso per la prima volta,
l’aveva condotta prima in Cameroun e poi in Svizzera. Ha imparato la lingua,
finiti gli studi e trovato un lavoro. In Danimarca erano attese, per la prima
volta, da qualcuno. La morte capita quando non c’è nessuno ad aspettare. E lo
sguardo è come una parola muta che nessuno più custodisce. Angelique aveva
tredici anni quando ha cominciato il viaggio nelle foreste dello Zaire.
Ha attraversato fiumi in piena, soldati sbandati e altre migliaia di rifugiati.
Molti sono morti in cammino e la terra da sola li ha sepolti per solidarietà.
Per sette anni di fila sei terra e torni alla terra. Angelique parte bambina e
arriva come rifugiata che ha scordato la vita. Allora scrive, ricorda, racconta,
piange, danza e conta i suoi morti. Libera si trova oggi, come una donna che le
parole hanno salvato. Erano le cinque di mattina del 18 agosto del 1994 quando
lei, la madre e il resto della famiglia si sono messi in marcia. Lo Zaire si
trovava a cinquanta kilometri. Questione di tre giorni di marcia, diceva la
madre. Ci sono voluti anni per attraversare quella foresta.
Solo la missione di salvare la vita al fratellino le ha dato la forza di non
fermarsi. Di morire è stata tentata più volte, diceva, e non lo ha fatto per
lui, Adrien, il fratellino, è ora laureato in economia nel Kenya. L’altra
sorella, Goretti, è infermiera e lavora in un ospedale norvegese. Angelique non
ha più visto sua madre, era stanca di camminare e si sono salutate con un cenno
di mano.
. mauro armanino, niamey, settembre 015