Sei mesi nell’inferno del Sahel di Birame DICEMBRE 2015
Erano 136
nel gommone di 9 metri quando hanno preso il Mediterraneo della Libia. Ognuno
aveva pagato 350 euro al capo di origine gambiana. Il capitano del battello era
un migrante al quale avevano insegnato in qualche giorno i segreti del mare.
Birame si era sbarazzato degli abiti leggeri e dei documenti. Indossava gli
indumenti pesanti che gli sarebbero serviti per il soggiorno in Italia. A
mezzanotte la partenza e dopo un paio d’ore le guardie costiere libiche ne
forzano il ritorno a terra. Sono bastonati, derubati e imprigionati per un paio
di settimane. Birame, poco più che adolescente, è deportato alla frontiera con
l’Algeria. Termina così il suo soggiorno libico, un mese di lavoro, il mare, la
prigione e per finire, l’espulsione.
Birame era partito dal Senegal sei mesi fa. Senza padre, una madre che lo
supplIca di tornare e un paio di fratellli ad accudire animali per un padrone.
Finisce la scuola elementare e non può permettersi di continuare gli studi.
E’per salvare la famiglia dalla miseria che decide la partenza per il mondo
altro. Nel vicino Mali, riocccupato dai gruppi ribelli, è preso in ostaggio,
imprigionato, minacciato e derubato. Sono giovani della stessa età, con l’arma e
la violenza suI deboli come stile di vita. Ci sono case di passaggio gestite dai
migranti lungo la strada che conduce all’Algeria. Si paga e si lavora per pagare
il seguito del viaggio. I soldi di Birame sono ormai finiti. Lavora in un
ristorante come addetto alle pulizie.
Sua madre, Mariam e i fratelli, non sapevano che era partito. Li chiama
dall’Algeria e già sua madre gli chiede di ritornare a casa. Lo stesso dicono i
fratelli che si occupano degli animali per contro di un padrone. Meglio poveri
che morti, gli dicono per telefono dal Senegal. Birame lavora e si paga il
viaggio per Tripoli da dove spera raggiungere l’Italia. Dice che gli piace
Milano e che vorrebbe sbarcare in quella città. Lavora un mese per pagare la
somma richiesta. Rimangono nascosti per un paio di giorni in una casa poco
lontano dal mare. Ci sono nigeriani, sierra leonesi, camerunesi,gambiani e altri
nazionalità che non ricorda. Bastava passare le acque nazionali e chiamare il
soccorso col telefono alla Croce Rossa.
Questione di minuti. Le guardie libiche li hanno intercettati e poi derubati. Ha
dovuto chiamare a casa sua e farsi mandare 500 euro per ritrovare la libertà del
deserto. Accompagnato alla frontiera si ritrova in Algeria a fare il manovale
per vivere. Aiutato da un’associazione inizia il viaggio di ritorno al suo
paese. Alla frontiera col Niger, senza soldi, la polizia sequestra il piccolo
computer che si era portato dietro come unico ricordo. Alla frontiera successiva
vende il cellulare per pagarsi il viaggio fino ad Agadez, nel cuore migrante del
Niger. I suoi vestiti sono stati scambiati in Libia, al momento dell’imbarco,
per abiti da inverno. Nello zainetto, pesante, porta una pentola con il cibo per
il viaggio di ritorno in Senegal.
Birame ha informato sua madre del possibile ritorno a casa. Non ha conosciuto
suo padre e neppure sua madre sa dove si trova. Gli altri fratelli forse hanno
lo stesso padre ma non è certo della loro identità. Solo sa che abitano la
miseria e che lui voleva cambiarne la sorte segnata dal principio. Sei mesi sono
passati dalla partenza dal Senegal. Birame si trovava nel gommone da 9 metri,
con altri 135 migranti come lui per traversare il mondo. Ancora pochi minuti di
navigazione e sarebbe scattata l’operazione di soccorso. Le acque internazionali
di salvezza dei naufraghi per salvarsi dalla storia. Invece sono tornati alla
riva di partenza e poi imprigionati dal destino. Birame aveva venduto tutto e
indossato gli abiti pesanti perché gli avevano detto che dall’altra parte c’era
l’inverno. Ora gli rimane una maglietta e lo zaino col cibo sufficiente per
tornare al paese. Dice che una volta in Senegal cercherà di avere i documenti in
regola per viaggiare in Italia.
. mauro armanino, niamey, dicembre 015