Giugno 2013                                                       

 Un premio di pace a chi organizza la guerra : prove di falsificazione

La guerra è la politica con altri mezzi. Un vecchio e ancora attuale adagio di Karl von Clausewitz.L'efficacia del detto è confermata, garantita, protetta ed esportata dall'ipocrisia internazionale. Ne esce rafforzata con la consueta complicità di alcuni stati africani.... L'Unesco è ridotta l'ombra di ciò che dovrebbe essere un organismo onusiano per la pace e la cultura. Per alcune sinistre manovre si è scelto di attribuire il premio della Fondazione Houfouet-Boigny a François Hollande. Improvvisato socialista guerriero in cerca di consensi africani dopo che in patria lo squallore si impadroniva del calo di popolarità. La guerra per difendere gli amici del Mali, un intervento disinteressato e la Francia che non può accettare nel Mali ciò che altrove sta bene.

Non ci sono state reazioni di rilievo alla premiazione di Hollande avvenuta a Parigi il mercoledì 5 giugno. Così come al parlamento francese al momento di decidere se prolungare o meno l'operazione Serval nel nord Mali. Com'è noto la guerra contro il terrorismo globale non altri confini che quelli degli interessi economico-geopolitici. Le risorse naturali e soprattutto il futuro strategico per una Francia che rischia di essere spazzata via dal proprio passato. Legittimare la violenza truccandola da missione di pace è un'operazione perfida. Sono insegnamenti politici che continuano a legittimare i poteri armati delle lobby militari. Cattivi maestri che non fanno che perpetuare la stessa logica che dicono di combattere. Di fatto sono gli stessi metodi (armati), gli stessi interessi (il potere), la stessa (di)visione del mondo (tra buoni e cattivi, gli ultimi da annientare).

Dove mai saranno andati a finire gli intellettuali. Gli operatori di giustizia e i contrabbandieri di pace. Si continuano a criminalizzare i migranti del sistema e si premiano le guerre umanitarie. Tace il mondo civile e le opposizioni. Velleitarie e senza reali alternative che non siano le verbosità senza domani. Ci si può domandare il tipo di eredità che questo nostro tempo intende passare alle nuove generazioni. Meccanismi di esclusione e la separazione globale dei popoli sotto la finta idea del villaggio che è tutto meno che globale. Scomparsi coloro che facevano domande impertinenti ai manovratori. L'omologazione del pensiero che non riesce a svincolarsi dalla(il) logica violenza del sistema.

Hollande in fondo fa il suo mestiere. Portavoce dell'inconsistenza tradotta in politica. Degno successore di chi aveva promesso di smentire con ben altre scelte. Dalla Libia al Mali il passo è breve. Altrettanto breve è l'effimero riconoscimento del premio della pace a chi sceglie la guerra. Stupisce non si reagisca con la denuncia della menzogna e dell'ipocrisia del premio. Che si incentivi l'impunità politica a chi organizza, decide, perpetua la guerra come scelta politica. Che non ci si opponga all'espropriazione della dignità di pensiero e di azione. Che dopo la rivoluzione del neolitico siano ancora le stesse logiche a governare le trasformazioni del pensiero. Che sia e sempre e solo la guerra e le armi che si usano come strumento politico. Gli intellettuali dovrebbero fare il loro mestiere e non farsi addomesticare.

E' compito degli intellettuali presiedere agli scambi tra i diversi livelli e campi di significato all'interno di una cultura, tradurre da astratto a concreto e viceversa...denunciare le incoerenze...il pensiero di un vero intellettuale non è totalmente addomesticato:mentre l'intellighenzia è talvolta incline all'involuzione, gli intellettuali con la loro indifferenza alle barriere convenzionali e alle strutture rigide possono essere perennemente al limite...e cioè il rifiuto di riportare il mondo là dov'era, col probabile risultato di scalzare l'ordine dominante e la stessa sacralità delle cose. (Hannerz, La complessità culturale, Bologna, Il Mulino, 1998,183-4).

Ciò significa non essere complici, neppure passivi, della falsità. Col risultato di fare della politica una guerra.

mauro armanino, niamey, giugno 2013