La mia principale indignazione, oggi,
concerne la Palestina, la striscia di Gaza,
la Cisgiordania. La fonte della mia
indignazione è l'appello lanciato agli ebrei
della diaspora da alcuni israeliani
coraggiosi: voi, i nostri antenati, venite a
vedere dove i nostri governanti hanno
portato questo Paese, dimenticando i valori
umani fondamentali dell'ebraismo. Sono
andato sul posto nel 2002, poi cinque volte
nel 2009.
Occorre assolutamente leggere il rapporto di
Richard Goldstone su Gaza del settembre
2009, nel quale questo giudice ebreo
sudafricano, che peraltro si dichiara
sionista, accusa l'esercito israeliano di
aver commesso, nell'operazione "Piombo
fuso", durata tre settimane, "azioni
assimilabili a crimini di guerra e forse, in
alcune circostanza, perfino a crimini contro
l'umanità". A Gaza io sono tornato nel 2009,
con l'intento di riscontrare personalmente
il contenuto di quel rapporto. Mia moglie e
io siamo riusciti a entrare grazie ai
passaporti diplomatici, ma le persone che ci
accompagnavano non hanno ricevuto
l'autorizzazione.
Neppure per la Cisgiordania. Noi invece
abbiamo visitato anche i campi dei profughi
palestinesi aperti nel 1948 dall'Unrwa,
l'agenzia delle Nazioni Unite, dove più di
tre milioni di palestinesi che Israele ha
cacciato dalle loro terre aspettano un
ritorno sempre più incerto. Quanto a Gaza, è
una prigione a cielo aperto per un milione e
mezzo di palestinesi. Una prigione in cui ci
si organizza per sopravvivere. Più ancora
delle distruzioni materiali, come quella
all'ospedale della Mezzaluna Rossa opera di
"Piombo Fuso", a tormentare la nostra
memoria sono il comportamento degli
abitanti, il loro patriottismo, il loro
amore per il mare e le spiagge, la loro
costante preoccupazione per il benessere dei
figli, innumerevoli e ridenti.
L'ingegno con cui affrontano tutte le
carenze di cui sono vittime ci ha molto
colpito. In mancanza del cemento per
ricostruire le migliaia di case distrutte
dai carri armati, li abbiamo visti
fabbricare mattoni. Ci hanno confermato che
nel corso dell'operazione "Piombo Fuso",
condotta dall'esercito israeliano, i morti-
donne, bambini, vecchi nel campo palestinese
- sono stati millequattrocento, contro
cinquanta feriti da parte israeliana.
Condivido le conclusioni del giudice
sudafricano. Che degli ebrei possano
perpetuare a loro volta dei crimini di
guerra, è una cosa insopportabile. Nella
Storia, purtroppo, gli esempi di popoli che
imparano dalla propria storia non abbondano.
So bene che Hamas, pur avendo vinto le
ultime elezioni legislative, non ha potuto
evitare il lancio di missili sulle città
israeliane in risposta alla situazione di
isolamento e di blocco in cui gli abitanti
di Gaza si trovano. Ovviamente ritengo che
il terrorismo sia inaccettabile, ma bisogna
riconoscere che quando i mezzi militari di
chi ti occupa sono infinitamente superiori
ai tuoi, la reazione popolare non può essere
soltanto non-violenta.
Serve ad Hamas il lancio di missili sulla
città di Sderot? La risposta è no. Un simile
gesto non giova alla sua causa, ma si spiega
con l'esasperazione della gente di Gaza. In
un orizzonte di esasperazione, la violenza
va intesa come un esito infelice di
situazioni che sono inaccettabili per chi le
subisce. Si potrebbe dunque dire che il
terrorismo è una forma di esasperazione. E
che questa esasperazione è un termine
negativo. Non bisogna esa-sperare, bensì
sperare. L'esasperazione è un rifiuto della
speranza. La si può comprendere, direi quasi
che è naturale, ma non per questo accettare.
Perché non consente di raggiungere i
risultati che potrebbe invece produrre la
speranza.
Nena News