Hiroshima. Impossibile dimenticare. “Mai più!”

di Roberto Gardelli

 

RIFLESSIONI SU HIROSHIMA E NAGASAKI

Sono passati 75 anni da quei due giorni, il 6 e 9 agosto 1945, quando due lampi accecanti seguiti da una mostruosa nuvola a forma di fungo cancellarono le due città di Hiroshima e Nagasaki, vaporizzando oltre 200mila persone, condannando i sopravvissuti a sofferenze inenarrabili seguite in molti casi da una morte straziante. Non ci potrà mai essere giustificazione alcuna per l’uso di armi come queste. Non si tratta di armi che, se usate male, possono causare vittime civili. Si tratta delle uniche armi esplosive progettate non per l’uso sul campo di battaglia, ma per distruggere le città ed i civili che le abitano.

1.   CONFLITTO GEOPOLITICO USA-URSS

Per anni si è creduto che le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki siano state sganciate perché il Giappone, alleato della Germania, che era già capitolata, respinse le richieste di resa incondizionata. Si è pensato che l’impiego di queste armi fosse un “un male necessario” per mettere subito fine alla guerra senza sacrificare ancora migliaia di soldati americani. Ma in realtà le cose andarono in modo diverso. L’imperatore del Giappone convocò un consiglio dei ministri a cui si chiese di porre fine alla guerra il più presto possibile. Si decise allora d’iniziare trattative con Mosca allo scopo di assicurarsi la pace “a qualsiasi costo” [20/06/1945]. Ma gli americani intercettarono quanto stava succedendo e dato che in ballo c’era la spartizione delle zone d’influenza con la richiesta staliniana di partecipare alla spartizione del Giappone.Truman agì non per mettere fine alla guerra il più presto possibile, ma per evitare che intervenisse per prima l’URSS e avanzasse rivendicazioni in Medio Oriente. Non fu il desiderio di risparmiare le vite di soldati americani a muoverlo, ma solo la bramosia di dominio e potere. Per questo motivo la tragedia di Hiroshima non fu sufficiente: due giorni dopo la bomba su questa città portuale, Stalin dichiarò guerra al Giappone. Truman rincarò la dose ordinando, nel giro di ventiquattro ore, di sganciare un’altra bomba su Nagasaki.

In sintesi le motivazioni che indussero allo sganciamento di bombe nucleari sulle due città giapponesi sono le seguenti:

·         Si volle colpire Hiroshima e Nagasaki a causa della loro concentrazione di popolazione ed attività industriali. Truman sapeva bene che gli obiettivi da colpire dovevano essere civili e non militari.

·         Ambedue le bombe furono sganciate non per vincere una guerra con esito già segnato, ma, a nemico battuto, solo per dare un monito, un assaggio della Potenza Militare Americana all’altro grande nemico: l’Unione Sovietica.

L’evento di Hiroshima, al di là delle considerazioni belliche e geopolitiche…, opera una vera e propria distruzione di senso della vita, con l’escogitazione di un mezzo, la bomba atomica, che ha il carattere paradossale di distruggere sia i mezzi che i fini.

Hiroshima come la Shoa costituiscono due punti di discontinuità nella Storia dell’Umanità verso l’Abisso ma pochi hanno fatto notare come l’immane tragedia nucleare è stata in buona misura rimossa da un punto di vista storico e mediatico rispetto alla seconda e su questo sarebbe opportuno interrogarsi [Vedasi M.Pasquinelli Il libro nero degli Stati Uniti d’America Massari editore].

Si ricorda infine che Oppenheimer, lo scienziato che insieme a Fermi inventò la bomba atomica, fu direttore dell’Istituto della  Princeton University e presidente della Commissione Americana per l’energia atomica fino al 1954, anno in cui fu allontanato ed isolato perché si rifiutò di costruire, per ragioni etiche, la ancor più micidiale bomba all’idrogeno, commissionatagli dal governo degli U.S.A.

 

2.   RAPPORTO CAPITALE/ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA

Un’altra ragione dell’impiego della bomba atomica risiedeva nell’aspettativa nutrita da militari e scienziati di sperimentarla onde valutarne l’efficacia considerando le enormi somme di denaro investite nel Progetto Manhattan finalizzato alla realizzazione di quest’arma distruttiva: due miliardi di dollari di allora corrispondenti a ventotto miliardi odierni. Accenno al fatto che grazie alla messa in opera della macchina bellica (incluse quindi le armi nucleari e non solo quelle convenzionali…) attuata nella Seconda Guerra Mondiale gli USA riuscirono a sollevarsi dalla Grande Crisi degli Anni Trenta: a partire dal 1941, ingresso diretto degli USA in guerra, il PIL riprende a crescere mentre la disoccupazione viene praticamente azzerata. Ieri come oggi la spesa bellica e la guerra fanno bene all’economia capitalista. Le spese militari sono in effetti una forma di spesa pubblica per il rilancio dell’economia, rappresentano una forma di deficit spending, ossia una delle forme attraverso cui lo Stato finanzia l’economia(se è il caso anche indebitandosi).                                         

I vantaggi del “Warfare” americano sono tanti e mi limito ad accennare, senza approfondire solo ad alcuni:

1)   Il perimetro delle aziende alimentate dalla spesa bellica è molto più di quello delle imprese che producono armi in senso stretto.

2)   Le spese per gli armamenti sostengono una parte ragguardevole dell’industria statunitense.

3)   Le spese per gli armamenti vanno ad imprese che-per definizione- operano in regime oligopolistico il quale per di più è protetto dalla concorrenza straniera.

4)   Le armi hanno un valore di scambio: si possono vendere come ogni altra merce, realizzando enormi profitti. Nel 2019 sono state vendute armi per un totale pari al 36% del export mondiale.

5)   Le armi hanno anche un valore d’uso. Che si può esplicare anche senza doverle usare: ad es. come mezzo di pressione politica, a scopo “dissuasivo” od intimidatorio (si pensi, ad es., ad uno scudo spaziale efficiente in grado di abbattere ogni missile..).

6)   La guerra si presenta ancora, oggi come ieri,, come volano della ricerca scientifica e tecnologica e del business ad esso legato, mentre la pace si presenta come una scelta economica da evitare. [ Si veda Scienza S.p.a. SCIENZIATI, TECNICI, CONFLITTI ed. DeriveApprodi ].     

Concludo dicendo che il passaggio dal “Welfare” (sanità, scuola, assistenza, pensioni,ecc…) al “Warfare”, avvenuto negli USA ed in molti altri paesi, ha colpito gli interessi dei lavoratori riducendo assistenza, istruzione pubblica e servizi sociali.

3.       COMUNITÀ SCIENTIFICA/ARMI NUCLEARI NEL II CONFLITTO MONDIALE

Allo scoppio della II seconda guerra mondiale il 2/08/1939 il fisico ungherese Leo Szilard, tra i primi ricercatori ad essere consapevole delle implicazioni catastrofiche della fissione a catena e temendo che i tedeschi potessero costruire una bomba, si rivolse ad Albert Einstein per convincerlo a scrivere al presidente americano Roosvelt. Einstein  conscio del pericolo accettò di firmare la lettera in cui vari scienziati suggerivano al governo americano d’intraprendere la ricerca per battere Hitler sul tempo e che di fatto fu all’origine del Progetto Manhattan avviato nel 1942. Si noti che alla base di questa scelta ci fu una notizia infondata da parte dei servizi segreti britannici sulla costruzione della bomba da parte della Germania unita alla pressione di molti scienziati. Quando Einstein se ne pentì era ormai troppo tardi. Alla fine del 1944 era chiaro che che i nazisti non avrebbero realizzato la super-bomba e nel giugno del 1945 la Germania si arrese. Nel frattempo Roosvelt a cui nel marzo del 1945 giunse una seconda lettera di Szilard, firmata da Einstein, morì e gli subentrò Truman. La realizzazione della bomba non si era arrestata e solo un fisico tra le migliaia di scienziati che lavoravano all’impresa l’abbandonò per motivi di coscienza (Józef Rotblat).

Rimaneva aperta l’opzione: usarla realmente? Gli scienziati ebbero ancora un’occasione decisiva. Ma un autorevole comitato di scienziati nominato appositamente – composto da R.Oppenheimer, E.Fermi, E.Lawrence, A.Compton – si era pronunciato tra il 15 ed il 16 giugno in maniera abbastanza pilatesca, riconoscendo l’obbligo di “salvare vite umane” e concludendo: “Non vediamo nessuna alternativa accettabile all’impiego mlitare diretto”.

Così si arrivò alla prima esplosione nucleare diretta, denominata Trinity, il 16/07/1945 e poi si giunse alla decisione di sganciare le bombe sul Giappone, circa tre settimane dopo, per escludere l’Unione Sovietica dalle trattative di Pace in Asia come s’è detto.

Vorrei terminare con un episodio riguardante Albert Einstein, genio universale e pacifista convinto; quando apprese la notizia della bomba atomica su Hiroshima urlò che non sarebbe mai diventato uno scienziato se avesse saputo che ciò sarebbe accaduto… All’indomani dell’immane tragedia scrisse un messsaggio agli intellettuali italiani:”Il nostro mondo è minacciato da una crisi la cui ampiezza sembra sfuggire a coloro che hanno il potere di prendere le grandi decisioni, per il bene o per il male. La potenza scatenata dall’atomo ha tutto cambiato salvo il nostro modo di pensare e noi stiamo così scivolando verso una catastrofe senza precedenti.Perché l’umanità sopravviva, un nuovo modo di pensare è ormai indispensabile”. Riflessione drammaticamente attuale…

4.   RISCHI E DINAMICHE DI POTENZIALI CONFLITTI NUCLEARI

Il pericolo d’una guerra nucleare non è scongiurato, anzi. Ad ogni piè sospinto si leggono notizie allarmanti da parte di alcuni stati come l’Iran e la Corea del Nord. E malgrado il numero delle testate si sia ridotto a “solo” 23 mila dal massimo di 45 mila della seconda metà degli anni 80 del secolo scorso l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) stima che almeno 40 paesi siano in grado di produrre un ordigno atomico rudimentale.

Le dinamiche d’un potenziale terzo conflitto mondiale sono state e sono complesse e multivariabili. Il testo Commando e Controllo. Il mondo a un passo dall’apocalisse nucleare di E.Schlosser (Mondadori 2015) elenca ben 9 volte in cui il mondo è stato vicino, a partire dagli anni sessanta fino all’inizio degli anni duemila, ad una guerra nucleare. Certamente si può discutere sui criteri del conteggio ma non si può disconoscere che più volte il mondo ha rischiato grosso, avvicinandosi ad una Terza Guerra Mondiale.

Citiamo due esempi di crisi particolarmente drammatiche. Uno dei momenti in cui si è andati più vicini al rischio d’una guerra nucleare è stato il conflitto tra USA e URSS, acuitosi nell’ottobre del 1962, con la famosa crisi dei missili di Cuba. Il 22 ottobre il presidente J.F.Kennedy ordina ai suoi d’istituire una quarantena navale su Cuba allo scopo d’impedire l’installazione di ulteriori missili da parte dei sovietici. Per fortuna J.F.Kennedy e N.Krusciov riuscirono a trovare un accordo.

Un altro momento in cui si è corso un serio pericolo d’un terzo conflitto mondiale fu nei giorni tra l’8 e il 9 novembre del 1983, quando in seguito ad una esercitazione nucleare della Nato particolarmente aggressiva (Able Archer 83), i vertici dell’Unione Sovietica reagirono innalzando il livello d’allerta delle forze dell’ URSS, immaginando un attacco improvviso. Per fortuna non accadde nulla e la crisi rientrò.

La sicurezza degli Stati continua ancora oggi a basarsi sulla logica e, anzi, essa si è potenziata trasformandosi nella cosiddetta deterrenza estesa, detta anche “ombrello nucleare”, con la quale chi ha le armi nucleari, in caso di attacco, anche non nucleare, non solo nei propri confronti, ma anche nei confronti di nazioni proprie alleate, minaccia di esercitare rappresaglia nucleare nei confronti dell’aggressore. Possedere le armi nucleari è diventato un obiettivo ambito anche perché ciò conferisce “prestigio politico”, soprattutto alle nazioni più deboli, che in questo modo vengono maggiormente considerate quando si decidono le politiche economiche, energetiche e sociali.

 

5.   SUL MOVIMENTO PACIFISTA

 

Io sono per un pacifismo “politico” e “laico” – in una parola realistico – avulso dal paradigma della “pace perpetua” e dell’ “unità spirituale dell’umanità” ma, sia detto a chiare lettere a scanso di equivoci, sempre intriso al contempo di valori etici autentici.

Bisogna superare la visione tuttora presente nel movimento pacifista che ancor oggi propone una visione legalistica ed etica della guerra senza porsi il problema della rottura con le politiche borghesi. Ciò alla luce di quanto si è affermato a livello globale dopo la fine della guerra fredda: l’avvento d’una costituzione del mondo tendenzialmente “imperiale” e la subordinazione degli stati nazionali (medi e piccoli), un tempo sovrani, al potere globale degli Stati Uniti e degli altri poli imperialistici emergenti.

Di fronte alla crisi del sistema capitalistico mondiale, non solo europeo, la risposta dei vari poli imperialistici non lascia dubbi in proposito: i conflitti si allargheranno e si intensificheranno e l’unica risposta concreta e scevra di contraddizioni è la mobilitazione radicale con gli scioperi degli operai coinvolti nei settori  armieri ed i blocchi via terra e via mare del materiale bellico. Ma per arrivare a questo  è necessaria una posizione politica e sindacale coerente, scevra di contraddizioni come,invece, è avvenuto ai tempi della guerra in Kossovo.

L’industria bellica ha bisogno della guerra per assicurarsi il consumo dei suoi prodotti, ha bisogno della distruzione per continuare nella propria produzione ossia, in sintesi, le armi da mezzo sono diventate un fine. A tal fine la politica internazionale è caratterizzata dalla ricerca d’un nemico al quale contrapporsi, si veda quella attuale di D.Trump nell’est europeo e nel sud-est asiatico, dove l’America è presentata come un attore politico la cui azione è volta all’ordine ed alla pace. La stampa ed i media nella società capitalistica sono in mano di coloro che detengono ricchezza e potere, gli stessi che cercano di blandire, manipolare, terrorizzare, tenere nell’ignoranza e svolgono un ruolo dominante nel creare quell’apatia, quella acquiescenza che porta milioni di persone ad accettare le verità contraffatte del Sistema a cominciare dalle guerre umanitarie od a votare per chi promette di risolvere tutti i nostri problemi in cambio del nostro voto. 

Come già osservava Hannah Arendt nel suo famoso testo “ La banalità del male”,  grande è l’influenza del Potere Mediatico sul cittadino medio, inclusa la necessità di Armi e Missioni Armate,ecc..

La “banalità del male” di Arendt parla dell’uomo “medio”, dell’uomo “statistico”, idealizzato dagli schemi matematici dell’economia liberale.

Questa lontananza dalla vera realtà e la mancanza di idee sono il presupposto fondamentale della tentazione totalitaria, che tende ad allontanare l'uomo dalla responsabilità del reale, rendendolo meno di un ingranaggio in una macchina. L’essere un soggetto inconsapevole, il braccio manipolabile, al di là delle intenzioni, di qualcun altro, è una situazione presente e diffusa nella società mediatica

Liberandoci dal conformismo e dall'obbedienza, dunque, il pensiero può condurci al giudizio e cioè alla capacità di distinguere il bene dal male, a mettere in discussione tutto ciò che ci si presenta come ovvio in qualunque circostanza; questa facoltà è l'unica che può proteggerci da tante catastrofi. Arendt voleva spronare gli uomini a diventare soggetti sociali consapevoli onde non farsi manipolare, necessità quanto mai attuale nella società mediatica, prescindendo però da una teoria politica per la prassi, aspetto quest’ultimo su cui mi permetto di dissentire.

 

6.   CONSIDERAZIONI FINALI SIA POLITICHE CHE ETICHE

Dal 1945 in poi, in media ogni 6 anni, il mondo è stato a un passo da una guerra nucleare. L’equilibrio del terrore, sinteticamente evocato dalla sigla MAD (mutua distruzione assicurata) avrebbe spezzato il legame individuato da Clausewitz fra politica e guerra: nel momento in cui la guerra rischia di trasformarsi in un’apocalisse, letale per entrambe le parti, essa non può essere considerata come la continuazione della politica. La formula di Clausewitz va reinterpretata criticamente nell’età nucleare.

In realtà - sebbene all’ombra del cosiddetto “equilibrio centrale”, quello fra le due superpotenze, che garantiva la pace in Europa – le guerre continuarono a combattersi con armi convenzionali in Asia, in Africa ed in Medio Oriente. E nel caso di queste guerre nulla di fatto era cambiato nella relazione tra l’ambito bellico e quello politico. Sia perché, soprattutto, anche la dissuasione atomica, con le sue specificità, era ed è uno strumento della politica. Bisogna, ai fini di chiarire la problematica, introdurre il concetto di compellence ossia “costringere”, termine reso in italiano con compellenza. Le cause e gli effetti della guerra  sono sempre le stesse: colonizzazione, furto delle risorse, milioni di profughi in fuga, creazione di manodopera a basso costo, incremento dell’industria bellica. Alla radice dei conflitti c’è una paradossale contraddizione del capitalismo. Da una parte, è sua legge intrinseca la libera circolazione e contrapposizione delle merci e dei capitali, che favorisce però l’anarchia e il caos di questa stessa produzione e circolazione; dall’altra esso ha bisogno di un progetto, di un controllo di questa produzione e circolazione che vincoli la libertà sopra accennata. Le guerre sono fatte per il petrolio, per l’uranio, per il gas, per il controllo dei punti strategici dell’economia globale, per gli interessi e i profitti dei capitalisti americani, europei e di casa nostra.

Nella mia visione la realtà attuale è quella di Poli Imperialistici in conflitto per la conquista del mercato mondiale delle merci e la crisi degli “USA” e dell”Europa” è accentuata dal fatto che sulla scena mondiale si affacciano paesi come la Cina e l’India la cui crescita mondiale marcia intorno al 5% annuo.

A Gennaio 2020 il Bollettino degli Scienziati Atomici ha lanciato l’allarme sulla possibilità di guerra atomica. Mi limito a citare una frase: “Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza,uno stato della situazione mondiale assolutamente inaccettabile che non permette alcun margine di errore né ulteriore ritardo”. La crisi mondiale, aggravata dal cambiamento climatico, rende  “realmente possibile una guerra nucleare, iniziata in base a un piano o semplice fraintendimento, che metterebbe fine alla civiltà”. L’attuale presidente USA, Donald Trump, ha smantellato pezzo per pezzo il pur carente regime di non proliferazione. Trump ha quindi incentivato progetti pluri-miliardari di nuove mini-testate che dietro un’illusione di poter condurre una guerra nucleare limitata,  ossia devastante ma non catastrofica,  in realtà ne aggravano a dismisura il rischio. Oggi questo rischio, come affermano studiosi quali Manlio Dinucci ed Angelo Baracca, è più alto che in tutti i 75 anni passati.

Nel luglio 2017 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato il Trattato che pribisce le armi nucleari (TPNW). Quale  membro del Consiglio Nord Atlantico l’Italia ha respinto lo stesso anno il Trattato Onu sulla abolizione delle armi nucleari e da allora ha sempre appoggiato la posizione dei membri della NATO. L’Italia deve, invece, eliminare le 70 bombe nucleari B61 “ospitate” sul suo territorio in flagrante violazione dell’Articolo N˚2 del Trattato di non proliferazione (TNP), cui essa ha aderito, e rifiutare le nuove B61-12 od altri tipi di armi nucleari.La logica d’una alleanza militare pilotata da Washington direttamente o tramite la Nato è in piena contraddizione con la nostra Costituzione che ripudia la guerra. Inoltre, ospitando 70 bombe nucleari statunitensi, in caso di conflitto il nostro Paese sarebbe uno dei primi bersagli, situazione mai dichiarata pubblicamente da nessun governo nostrano.

Alla base della scelta di possedere armi nucleari c’è il principio, come più volte evidenziato dall’analisi delle bombe sul Giappone nel II˚conflitto mondiale, che la sicurezza si possa garantire possedendo armi di distruzione di massa, quando queste in realtà sono causa della più grande insicurezza. Alla luce di dati globali il progetto degli Stati nucleari sembra mirare alla conservazione di grandi arsenali per un futuro indefinito, dando a questi armamenti un ruolo preminente nelle loro strategie di sicurezza nazionale.

La sinistra ed il sindacato ieri come oggi incontrano seri problemi a praticare una “critica della produzione”, in particolare quando questa impatta con il settore armiero. Ciò è avvenuto in particolare nel settore dell’industria bellica, con la motivazione, affatto occultata, di evitare la perdita di posti di lavoro. Le stime dell’Osservatorio MIL€X (Osservatorio sulle Spese Militari) degli ultimi due anni descrivono una spesa militare di circa 25 miliardi di euro nel 2019 (circa 1.40% rispetto al PIL) e di oltre 26 miliardi di euro  previsti per 2020 (circa 1.43% rispetto al PIL), quindi quasi al massimo dell’ultimo decennio. Emblematico il caso della partecipazione italiana alla realizzazione del caccia statunitense F-35 ( almeno 15 miliardi di solo acquisto per 90 velivoli), aerei certificati per l’uso con bombe nucleari. Nell’arco degli anni, dalla fine degli anni 90 a oggi, i vari governi di destra o di sinistra, hanno presentato la partecipazione alla realizzazione dei caccia F-35 come un grande affare per l’Italia dato che società italiane come Leonardo ( già Finmeccanica) hanno ottenuto contratti per centinaia di milioni di dollari. C’è però un particolare: i miliardi di contratti per gli F-35 entrano nelle casse di aziende private, mentre i miliardi per lo sviluppo e l’acquisto dei caccia escono dalle casse pubbliche.

In un Paese dove si spendono quotidianamente oltre 70 milioni di euro al giorno per le armi, incluse le cosiddette missioni di pace, dove è stato previsto un incremento di 5 miliardi aggiuntivi per il 2020 a beneficio di aziende come Leonardo, Iveco-Oto Melara, Mbda, Beretta sia nella sinistra che nei sindacati praticamente nessuno conduce una campagna coerente per la riduzione della spesa militare, scelta ancor più necessaria, va detto, nella fase drammatica della pandemia. Quando più volte ho sollevato il problema in ambito sindacale C.G.I.L., in incontri dov’era anche presente il segretario della F.I.O.M., ho sempre colto imbarazzo e silenzi significativi, pure da parte dell’area di minoranza,  riguardo al tema sollevato implicante il passaggio, indubbiamente lungo e complesso ma pure drammaticamente attuale, da militare a civile e comunque rispetto alla richiesta, oramai improcrastinabile, d’una scelta orientata ad una lotta coerente contro la produzione bellica.

 

La mano di Washington, o direttamente o tramite la NATO, preme per farci arrivare a 100 milioni di euro giornalieri per le spese militari, cifra sottratta ad altri settori essenziali per la società quali scuola, sanità, pensioni, …

Inoltre va detto che gli accordi con gli USA, alla luce di analisi specifiche su diversi progetti della UE, ha fatto sì che la longa manus yankee inducesse gli Stati Europei a rinuciare a diversi loro progetti come ad es. l’ETAP (European Tecnology Acquisition Programme) rivolto allo sviluppo di tecnologie aeronautiche ed avioniche. Conseguentemente le ricadute sullo sviluppo tecnologico e sulle compensazioni di attività industriali per le aziende italiane coinvolte in ETAP come in vari altri progetti sono state molto inferiori alla spesa sostenuta dal nostro Stato.

Sia detto a chiare lettere che lo scrivente non prende né vuole prendere posizione sulla scelta EUROFIGHTER - J.S.F. F-35, sia per ragioni etiche che per coerenza con la sua posizione pacifista ed, al contempo, anti-imperialista, ma vuole sottolineare con forza la mancanza di autonomia nelle scelte di politica estera e nelle conseguenti ricadute economiche del nostro Paese oltre che il vulnus ai dettami della nostra Costituzione. Ricordo che l’Italia negli ultimi 30 anni ha venduto armi a Paesi che violano sistematicamente i diritti umani contravvenendo alla legge n. 185 del 9/07/1990 approvata ad ampia maggioranza.

Concludendo non si può più aspettare di fronte al pericolo nucleare ed alle dinamiche capitalistiche legate alla tecnologia bellica di cui subiamo le conseguenze.

Di fronte alla minaccia nucleare bisogna assolutamente rilanciare il movimento pacifista cercando di associarvi quello dei lavoratori, i sindacati, associazioni solidali, forze politiche  aventi una prassi antitetica a quella neoliberista. In altre parole si deve cercare di far coesistere forze politiche diverse legate ad un progetto di società radicalmente alternativa in grado di garantire i diritti del lavoro, quelli delle minoranze, della tutela ambientale, della ricerca d’una soluzione, a qualsiasi costo,  a potenziali conflitti o guerre, alle varie realtà del Pacifismo presenti nella Società Civile…

Le due realtà al momento non fanno sinergia se non in maniera minimale, sono di fatto separate per un complesso di motivi, tra questi quello dell’influenza mediatica sull’opinione pubblica e  la questione del lavoro nell’industria militare già analizzato… Ciò meriterebbe una riflessione profonda e specifica, ma, comunque, le lancette dell’Orologio Atomico si muovono inesorabilmente verso la Catastrofe frutto della Barbarie Capitalista e NON C’È PIÙ TEMPO….

Voglio terminare con una citazione, di profondo valore etico e propositivo, di David Krieger, presidente della “Fondazione per la PACE nell’era nucleare” ed uomo straordinario per il suo impegno pacifista seguita da un’immagine, il fungo atomico di Hiroshima che, rappresentando il male assoluto, la negazione della sacralità della vita, può costituire un monito perché questo orrore non si abbia mai più a ripetere nella Storia ma perché ciò avvenga deve partire una dinamica sia di presa di coscienza soggettiva che collettiva basata su un progetto etico-politico antitetico al modello sociale esistente!  Questo è il nucleo delle mie riflessioni…

 

"Io scelgo la speranza. E' una scelta cosciente, fatta con la piena consapevolezza che il male che ci circonda è tale da avvolgerci e sopraffarci. Io scelgo la speranza perché sento una profonda responsabilità per quello che penso di essere obbligato a fare: lasciare il mondo migliore di come l'ho trovato. Ciò dà significato alla mia vita. Combattere per un mondo migliore è un modo per vivere la vita al massimo della sua pienezza e ricchezza. Io scelgo la speranza come una responsabilità personale e professionale"

David Krieger

 

 

 

 

 

 

 

MAI PIÙ!

 

 

Hiroshima e la prima bomba atomica - Focus Junior

     Roberto Giardelli