«Abbiamo deciso di rinunciare con un voto di tutti i lavoratori»

 

 

Intervista all’ingegner Valerio Morellato al proprietario della ditta che si rifiuta di prendere la commessa per vasche da usare per la produzione del missile black shark

Ingegner Morellato, state diventando famosi in tutto il paese per il vostro no alla possibile commessa della Waas, che vi avrebbe portato un buon guadagno in un momento di crisi generalizzata.
Erano 30mila euro di cui un terzo, circa 10mila, di margine netto. Un guadagno equivalente all’installazione di 38 climatizzatori, oppure di 12 impianti di solare termico. Ma quando abbiamo capito che quel sistema di refrigerazione che ci era stato chiesto, per una «vasca capiente da usare per la ricerca militare», sarebbe servito per produrre un centinaio di siluri, da consegnare alle marine militari di tre diversi continenti, ci siamo fermati a riflettere. Ci siamo riuniti, abbiamo discusso e a maggioranza abbiamo deciso che quella commessa era contraria a quello che, fin dall’inizio, è stato alla base del nostro lavoro: una serie di scelte «valoriali» come la tutela dell’ambiente, la lotta alle ingiustizie, il rispetto dei diritti.
 

Chi in particolare si è battuto contro quella commessa?
Quasi tutti. A partire da Valentina Bonetti, che è la presidente di Ingegneria Senza Frontiere di Pisa, e che in parallelo a questo lavoro progetta mini impianti di tecnologia povera per il sud del mondo. Ad esempio per il solare termico si possono fare dei pannelli con sacchi di plastica e bottiglie di Coca Cola, quelle di plastica da un litro e mezzo. Poi c’era anche qualcuno contrario, perché per un padre di famiglia oggi non è semplice andare avanti, e l’idea di rifiutare un lavoro quando si è in cassa integrazione è complicata da accettare. Ma alla fine hanno capito anche loro, me l’hanno detto e ne sono stato davvero molto felice.
 

Ho parlato con il suo collaboratore Stefano Mammini, che si occupa di soluzioni impiantistiche, visitando le case e spiegando a potenziali clienti quello che si può fare in tema di solare termico oppure di fotovoltaico. Mi ha detto che un suo amico dei tempi del servizio di obiezione di coscienza lo ha chiamato da Napoli per fargli i complimenti. Non si sentivano da anni.
Hanno telefonato davvero in tanti. Non solo gli amici. E sul sito aziendale sono arrivati parecchi messaggi di posta elettronica. Tutti per dire che apprezzavano la nostra decisione. Evidentemente, almeno secondo me, sono più di quanti si pensi gli uomini e le donne che rifiutano l’idea che per lavorare si debba chiudere gli occhi sul risultato del proprio lavoro. Certo, per recuperare dovremo farne di impianti. Però in due giorni abbiamo ricevuto tre possibili offerte di lavoro. Insomma andiamo avanti.
 

Quanto è difficile il vostro settore, soprattutto in tempi di crisi?
Di positivo c’è che in questi anni il concetto del risparmio energetico si è enormemente diffuso, sia per decisioni etiche che più prosaicamente per i risparmi che possono derivare dall’investimento iniziale. Di negativo c’è il fatto che, ad esempio, nei fatti è impossibile installare impianti di energie alternative nei condomini, perché c’è sempre qualcuno che non è d’accordo. Quanto alle commesse pubbliche, i ritardi nei pagamenti e anche i capitolati spesso «opachi» finiscono per penalizzare le piccole ditte, rispetto a chi può permettersi di aspettare i pagamenti anche per anni potendo contare su robuste linee di credito. E anche su rapporti consolidati nel settore della pubblica amministrazione.
 

E le leggi? La sensazione è che non ci sia volontà politica di investire nel settore delle rinnovabili.
Non è solo un’impressione. Solo fra il 2006 e il 2008, nei due anni della tanto vituperata Unione, i provvedimenti presi dal governo assicuravano che non ci fossero furberie, e che i cittadini che decidevano di investire nel fotovoltaico o nel solare termico avessero la certezza degli incentivi una volta che l’impianto fosse in funzione. Dopo invece è tornato tutto in alto mare. E anche il governo dei professori, quello di Mario Monti, sempre proprio non capire l’importanza delle rinnovabili, e soprattutto della creazione di una filiera industriale del settore, che unisca produttori, progettisti, installatori e manutentori

fonte "il manifesto" del 18/07/2012    Autore: Riccardo Chiari

Pace e legalità sono un buon affare

Ho 32 anni, sono ingegnere. Otto anni fa ho avviato un'attività, con il sogno di renderla il lavoro della mia vita. L'attività, allora, era assai particolare: promuovere sul mio territorio la cultura delle energie rinnovabili e del rispetto dell'ambiente attraverso la vendita di soluzioni energetiche «chiavi in mano».
Ero e sono convinto che solo cambiando il sistema di produzione ed uso dell'energia nella nostre società potremo costruire un mondo migliore, più rispettoso delle persone, dei popoli e della terra.
Oggi dalla mia attività dipende il lavoro di una ventina di persone. La mia piccola impresa vive nel mercato libero, dominato dalla concorrenza, esattamente come tutte le altre. Ogni giorno, ogni anno, sappiamo che dobbiamo fare meglio dell'anno precedente, altrimenti un'altra azienda diventerà più brava e ci ruberà i clienti. Questo è faticoso, ma lo sappiamo. Sappiamo anche che il mercato ha delle regole: le tasse da pagare, la sicurezza sul lavoro, la tutela dell'ambiente, ecc. Non tutti però rispettano le regole.
Chi viola una legge reca un danno a chi da quella legge dovrebbe essere tutelato (lo stato, il lavoratore, l'ambiente); ma reca anche un danno indiretto a tutti coloro che invece, faticosamente, hanno fatto in modo di rispettare la legge. Perché siamo in un regime di concorrenza e chi prende una scorciatoia illegale si avvantaggia sugli altri, su coloro che la strada la percorrono tutta, legalmente. Se non paghi le tasse avrai più soldi da investire per migliorare l'azienda e renderla sempre più competitiva; un'altra azienda che le tasse le ha pagate potrebbe non farcela a reggere il confronto e soccombere, mandando a casa i dipendenti.
Questo è l'aspetto più drammatico: si sviluppa una società malata e ingiusta a scapito di quella onesta.
Le fatiche quotidiane di un lavoratore «meno disonesto» (sia dipendente che autonomo) sono aggravate dai reati dei lavoratori «più disonesti». E in una società ignorante, o che - ancora peggio - tollera una cultura di «accettazione dell'illegalità», hanno vita facile anche i grandi illeciti dei potenti, che affliggono tutti. Sradicare dal nostro quotidiano l'illegalità serve a dare forza a una intera società onesta che può fungere da deterrente per i reati piccoli e grandi.
Cerchiamo di praticare e di pretendere il rispetto delle leggi, e poi sarà anche più facile battersi per cambiare quelle che riteniamo ingiuste.
* tratto dall'Equagenda 2012 dell'Emporio Equo Solidale, cooperativa sociale onlus che ha sede a Marina di Pisa in via Cagliaritana 21 - e-mail suryacom@libero.it