Betlemme, 09 febbraio 2013, Nena News
- L'Autorità Palestinese per l'Acqua (PWA)
non è in grado di portare acqua alle aree
più colpite dalla crisi idrica a causa della
grave frammentazione territoriale. Le
colonie israeliane hanno a disposizione
fonti idriche che usano per le piscine e per
l'irrigazione dei campi agricoli mentre i
vicini villaggi palestinesi non hanno
accesso ad una quantità sufficiente di
acqua.
Questi ed altri fatti vengono denunciati dal
documento finale della missione ONU di
accertamento dei fatti per investigare le
implicazioni delle colonie israeliane sui
diritti civili, politici, economici, sociali
e culturali dei palestinesi nei Territori
Palestinesi Occupati (Gerusalemme Est
inclusa). Un rapporto di 37 pagine che
esamina l'impatto degli insediamenti
israeliani - illegali secondo il diritto
internazionale - sui diritti del popolo
palestinese che vive sotto occupazione da
oltre 45 anni.
Di particolare interesse è la parte dedicata
all'appropriazione illegale da parte di
Israele delle risorse idriche palestinesi.
Secondo il documento ONU, uno dei
principali ostacoli allo sviluppo di nuove
risorse idriche da parte della PWA è il
sistema di gestione idrico stabilito con gli
Accordi ad Interim di Oslo firmati nel
1995 che hanno creato un sistema basato
"fondamentali asimmetrie - di potere, di
capacità, di informazione". Questi accordi,
che sarebbero dovuti durare cinque anni,
hanno di fatto legittimato un'allocazione
discriminatoria delle risorse idriche dando
ad Israele il controllo di oltre l'80% della
falda acquifera montana, la principale
fonte di acqua dolce che giace sotto la
Cisgiordania e parte di Israele e che
dovrebbe pertanto essere divisa in modo equo
e giusto tra le due popolazioni. Dal 1995 si
è inoltre visto un peggioramento della
situazione idrica per i palestinesi ed
Israele oggi si è assicurato il controllo
esclusivo del 90% delle fonti idriche
lasciando ai palestinesi l'utilizzo di solo
il 10% delle risorse.
Figlio di Oslo è anche il Comitato Congiunto
per l'Acqua, costituito da un numero uguale
di esperti palestinesi ed israeliani per la
gestione dei progetti idrici e sanitari.
Tuttavia questo comitato - dove di fatto
Israele ha potere di veto - si è rivelato un
ulteriore strumento col quale Israele
controlla e limita la costruzione di
infrastrutture idriche per i palestinesi.
Molto spesso, in particolare in Area C
(il 60% della Cisgiordania sotto il totale
controllo israeliano), ai palestinesi non è
nemmeno consentito costruire strutture
idriche essenziali come pozzi e cisterne
per la raccolta dell'acqua piovana.
"La capacità della PWA di trasferire l'acqua
nelle aree colpite dalla crisi idrica è
fortemente minacciata dalla frammentazione
territoriale poiché quasi ogni progetto
implica il movimento in Area C", continua il
rapporto. La missione ONU ha documentato
che, con la costruzione del muro di
separazione, molte fonti di acqua sono state
distrutte o confiscate. Una delle
situazioni più allarmanti è quella della
Valle del Giordano dove le profonde
perforazioni fatte dalla compagnia idrica
israeliana Mekorot e dall'impresa
agricola-industriale Mehadrin hanno
prosciugato i pozzi palestinesi. Secondo i
dati forniti dall'organizzazione per i
diritti umani B'tselem, i 9400 coloni
israeliani che vivono nella Valle del
Giordano ogni anno utilizzano un terzo della
quantità di acqua consumata dai 2.5 milioni
di palestinesi della Cisgiordania.
La diretta conseguenza di questa politica
idrica da parte di Israele è che le comunità
palestinesi non hanno un accesso sufficiente
all'acqua e devono dipendere dalla fornitura
di Mekorot. Inoltre in alcuni villaggi, in
particolare nella Valle del Giordano e nelle
colline a Sud di Hebron, gli abitanti
dipendono dall'acqua trasportata delle
autobotti mentre le vicine colonie
israeliane hanno una fornitura di acqua 24
ore su 24. "Sentiamo l'acqua scorrere
sotto i nostri piedi ma non possiamo avere
accesso ad essa" ha raccontato a Nena News
Mohammad Sawafteh, un residente di Samra, un
piccolo villaggio nel nord della Valle del
Giordano indicando una grossa tubatura
dell'acqua che conduce all'insediamento
israeliano collocato a poche centinaia di
metri dalla comunità.
Il consumo medio domestico (senza
considerare quello agricolo) di acqua in
alcune colonie israeliane raggiunge i 400
litri pro capite al giorno mentre quello dei
palestinesi è di circa 73 litri - ma in
alcune comunità palestinesi è di soli 20-30
litri.
A tutto questo va sommata la distruzione, da
parte delle autorità israeliane, di
infrastrutture idriche, cisterne comprese.
Dal 2010 c'è stato un incremento
esponenziale di queste demolizioni e il 2012
ha visto rispetto al 2011 un numero doppio
di strutture distrutte.
Negare l'accesso alle risorse idriche è
una delle principali cause di trasferimento
forzato dei palestinesi, soprattutto in
quelle aree che presto verranno confiscate
per la costruzione o l'ampliamento delle
colonie israeliane. Senza acqua i contadini
non possono coltivare i loro campi ed i
pastori non possono abbeverare i loro
animale.
Diritto all'acqua per il popolo palestinese
significa anche diritto ad esistere, a
vivere sulla propria terra. Nena News