sulla bomba
nucleare all'idrogeno B61-12 usa in arrivo in italia
Fonte: La Riscossa
Una tema di costante attualità è quello
della diffusione delle armi nucleari. Negli anni recenti gli Stati Uniti hanno
sviluppato una nuova devastante arma, che sarà a breve trasferita in Italia.
Nel 2009 furono stanziati 65 milioni di dollari dal governo americano per uno
studio sull’aggiornamento delle bombe nucleari tattiche B61, le più datate tra
le bombe all’idrogeno a disposizione degli Stati Uniti. Nell’aprile 2013 il
Pentagono stanziò 11 miliardi di dollari per lo sviluppo di un “programma di
estensione della vita utile” (termine che indica un programma per il rinnovo e/o
la sostituzione di componenti di armi nucleari) delle B61, spendendo la somma
più alta della storia per l’aggiornamento di testate nucleari. Dei vecchi
modelli della B61 (precisamente i modelli 3, 4, 7 e 10) attualmente circa 200
bombe sono dispiegate in 5 paesi europei: l’Italia ha sul proprio territorio il
maggior numero di B61, circa 70, di cui attorno alle 50 situate nella base
americana di Aviano e le restanti nella base italiana di Ghedi, nonché è l’unico
ad ospitare tali armi in ben due siti. Le altre sono nella base di Kleine Brogel
in Belgio, di Volkel nei Paesi Bassi, di Buchel in Germania e Incirlik in
Turchia da dove potrebbero esser “trasferite” nella base di Araxos in Grecia.
Con il programma di estensione della vita utile, il Dipartimento della Difesa
USA intendeva sostituire le bombe ormai datate sviluppando un nuovo modello
della B61, il numero 12, chiamato quindi B61-12. Questo modello si distingue dai
precedenti per la maggiore precisione, essendo la caduta della bomba anziché
libera, come nei modelli datati, dotata di guida di precisione grazie ai kit di
coda realizzati dalla Boeing, per l’elevata capacità di penetrazione del suolo
al momento dell’impatto, che rende la bomba particolarmente adatta a distruggere
basi sotterranee e bunker, e per la compatibilità con tutti i bombardieri
nucleari utilizzati dai paesi NATO, in particolare gli F-35 acquistati
dall’Italia e da altri stati alleati. La bomba sarà dotata di potenza regolabile
elettronicamente, con 4 livelli di potenza sprigionabile: 0,3 chilotoni, 1,5
chilotoni, 10 chilotoni o 50 chilotoni (si consideri che la bomba sganciata su
Hiroshima sprigionò circa 15 chilotoni, e che la bomba più potente mai testata,
la Bomba Zar, sprigionò 50000 chilotoni). Lo sviluppo del programma di
estensione della vita andava evidentemente in direzione contraria rispetto alla
dichiarazioni dell’allora presidente Barack Obama, il quale affermava di essere
intenzionato a procedere al disarmo.
Il 1° luglio 2015 l’aeronautica militare degli USA e la National Nuclear
Security Administration (NNSA), agenzia dipendente dal Dipartimento dell’Energia
degli Stati Uniti d’America, hanno effettuato il primo test in volo su un
cacciabombardiere F-15E Strike Eagle presso il poligono dell’installazione
militare di Tonopah, nel Nevada[1]. Altri due test furono effettuati l’8 agosto
2017 sullo stesso sito, ancora utilizzando un F-15E Strike Eagle[2]. Gli ultimi
due test sono stati effettuati lo scorso 9 giugno, ancora a Tonopah, sullo
sgancio della B61-12 da un bombardiere strategico B-2 Spirit. I risultati dei
test sono stati giudicati soddisfacenti, come confermato dalle parole del
generale Michael Lutton, secondo cui «questi test di volo indicano che il
modello B61-12 soddisfa i requisiti di sistema e illustrano il continuo
progresso del programma di estensione della vita della B61-12 in accordo con i
requisiti di sicurezza nazionale. Il risultato è anche una dimostrazione della
dedizione del nostro personale e della duratura collaborazione tra NNSA e U.S.
Air Force»[3]. Durante i test realizzati fino ad oggi è stata sganciata una
versione inerte dell’ordigno.
Nei prossimi mesi saranno effettuati ulteriori test di sgancio della bomba da
velivoli multiruolo. Le prime unità prodotte in serie della B61-12 sono previste
per la prima metà del 2020, ed entro il 2025 si prevede che saranno realizzati
dai 400 ai 500 ordigni che saranno operativi fino al 2050.
Il progetto della B61-12 fa riflettere per diversi aspetti. Dal punto di vista
militare, è del tutto evidente come lo sviluppo di questa nuova arma stravolga
il ruolo degli armamenti atomici. La scelta di produrre bombe a potenza non
particolarmente elevata rispetto alle potenzialità delle tecnologie più moderne
corrisponde infatti ad un obiettivo preciso: la possibilità di utilizzare l’arma
atomica come mezzo offensivo, e non solo come strumento di deterrenza. Le
atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki furono utilizzate essenzialmente come
armi di sterminio di massa, con ripercussioni pesanti da parte dell’opinione
pubblica alla luce degli effetti collaterali causati dall’esplosione. Nei
decenni successivi, seppure si fosse ipotizzato negli ambienti governativi e
militari statunitensi il ricorso all’arma atomica durante le guerre in Corea e
Vietnam, non si arrivò mai al loro utilizzo proprio per evitare la ricaduta
mediatica che avrebbe causato, ma si limitò il ruolo delle testate nucleari alla
deterrenza. Al contrario, una maggiore precisione negli attacchi e una potenza
minore che limiterebbe la ricaduta radioattiva e il danno collaterale potrebbe
indurre i capi politici o militari ad utilizzare l’arma, con minori scrupoli, in
attacchi anche preventivi. Questa volontà è testimoniata dal fatto che,
nonostante alcuni esponenti politici statunitensi avessero proposto di
rinnovare, anziché le B61, le B83, bombe dal potenziale distruttivo molto
maggiore, si sia optato invece per le prime. Questa tendenza accrescerebbe come
conseguenza diretta la probabilità dell’utilizzo da parte del nemico di altre
armi atomiche di potenza anche maggiore. Il cambio di strategia vedrebbe il
sostegno di Fred Frederickson, direttore per la politica nucleare della NATO,
sostenitore della strategia del “first strike“, letteralmente “primo colpo“,
ossia la possibilità di utilizzare l’arma atomica in un attacco preventivo. Il
fatto che le B61-12 possano essere sganciate anche a grande distanza a
differenza dei precedenti modelli, che venivano rilasciati in caduta verticale
libera, riduce inoltre la differenza tra armi nucleari strategiche a lungo
raggio e armi tattiche a corto raggio. La realizzazione di bombe in grado di
penetrare efficientemente il terreno dimostra infine la volontà di dotarsi di
un’arma che volgerebbe le sorti del conflitto in favore degli USA nel caso di
invasione di un paese dotato di una rete di basi militari o altre strutture
sotterranee.
Dal punto di vista della politica internazionale, il possesso delle B61-12
dovrebbe, nelle intenzioni, indurre gli altri paesi, consapevoli
dell’accresciuta possibilità di utilizzo da parte degli USA, a non contrapporsi
agli interessi di questi ultimi per timore di un conflitto. Questo è confermato
dalle parole del generale statunitense Norton Schwartz, secondo il quale gli
avversari degli Stati Uniti saranno consapevoli che gli USA sarebbero disposti
ad usare le armi nucleari se necessario. Inoltre la produzione da parte degli
USA delle B61-12 e la distribuzione ad altri paesi NATO indurrà gli alleati a
non produrre autonomamente proprie testate atomiche.
Per quanto riguarda il diritto internazionale, è facile rendersi conto di come
sia gli Stati Uniti sia l’Italia agiscano in palese violazione del trattato di
non proliferazione nucleare: i primi in quanto l’articolo I del trattato impegna
gli stati nucleari a non trasferire armi nucleari o il controllo su tali armi a
uno stato non nucleare; i secondi in quanto per l’articolo II gli stati non
nucleari si impegnano a non ricevere armi nucleari o il controllo su di esse.
L’Italia, infatti, dispone del controllo diretto sulle armi site nella base di
Ghedi, appartenente all’Aeronautica Militare, con i piloti italiani perfino
addestrati all’attacco nucleare. Questi impegni dovuti alla ratifica del
trattato sono stati aggirati in quanto l’Italia non ha mai riconosciuto o
dichiarato ufficialmente la presenza sul proprio territorio di armamenti
nucleari, nonostante le evidenze di tale presenza.
Vi è infine da considerare la ricaduta economica prodotta dalla produzione e
dalla conservazione delle armi atomiche. Gli Stati Uniti spendono decine di
miliardi di dollari per la produzione di armi di nuova generazione. Mentre una
spesa di tale portata viene investita per rinnovare il proprio arsenale le fasce
più povere della popolazione statunitense si vedono negato ogni elemento di
stato sociale, con un terzo della popolazione del paese (105.303.000 persone)
che fatica a far fronte ai bisogni più elementari. Al contempo l’Italia, che
riceve le armi dagli USA, si fa carico per oltre due terzi delle spese per il
mantenimento e il potenziamento delle basi e per stoccaggio e sorveglianza delle
armi. Sono stati infatti effettuati lavori di potenziamento della base di Aviano
per poter ospitare le bombe e i relativi bombardieri. Secondo un rapporto di MIL€X
– Osservatorio sulle Spese Militari Italiane i costi relativi alla presenza di
testate nucleari USA sono di almeno 20 milioni annui con stime elevabili a 100
milioni[4]. Vi sono inoltre, sempre a carico dell’Italia, una spesa di 23
milioni di euro per l’aggiornamento dei sistemi di protezione e lo stoccaggio
degli ordigni, una di 16,5 milioni per la manutenzione e l’aggiornamento degli
aerei dedicati alle bombe nucleari e una non quantificabile per l’addestramento
dei “Diavoli Rossi” (i piloti addetti agli aerei in questione) al poligono
nucleare di Capo Frasca in Sardegna. In generale l’addestramento di un pilota
militare ha un costo di circa un milione di euro. A queste spese si aggiungono
quelle legate all’aggiornamento di 12 F-35A (uno dei modelli dei caccia F-35)
per poter sfruttare appieno la funzionalità della guida di precisione delle
bombe: infatti ogni caccia dovrà essere sottoposto a test e certificazione per
la B61-12 tra il 2020 e il 2022, spesa stimabile in circa 340 milioni di dollari
e che si somma alla cifra spesa dall’Italia per l’acquisto dei 90 caccia,
stimata in 13-16 miliardi di euro. Da notare che, secondo diversi fonti, in
Europa la B61-12 potrà essere trasportata esclusivamente dagli F-35A, e non dai
Panavia PA-200 Tornado, attualmente in dotazione all’Aeronautica Militare e che
saranno rimpiazzati proprio dagli F-35. L’intenzione del governo M5S-Lega di non
bloccare l’acquisto degli F-35 è stata recentemente confermata dal ministro
della Difesa Elisabetta Trenta[5], ossequiando la Leonardo (ex Finmeccanica),
capofila dell’industria bellica italiana, che gestisce l’impianto FACO di Cameri
(Novara) dove avviene l’assemblaggio dei nuovi caccia in collaborazione con la
statunitense Lockheed Martin, la maggiore industria bellica del mondo
(produttrice degli F-35).
La produzione delle B61-12 rientra nella generale corsa agli armamenti che
accende ulteriormente le tensioni interimperialistiche caratterizzanti questa
fase storica. Risulta a tale proposito emblematica la richiesta di Trump ai
paesi della NATO di aumentare le spese militari al 4% del PIL, in seguito
ritirata, conseguendo comunque l’impegno di raggiungere l’obiettivo del 2%. Le
dichiarazioni del premier Conte e dei principali titolari del governo, Di Maio e
Salvini, che allineano l’attuale governo M5S-Lega alla NATO, fanno prevedere che
il nostro paese e il nostro territorio saranno coinvolti ancora una volta nei
piani imperialisti USA-NATO per interessi che nulla hanno a che fare con quelli
dei popoli e i loro diritti, della pace e della solidarietà internazionale, in
nome del rafforzamento delle posizioni dell’imperialismo italiano con tutti i
conseguenti pericoli derivati dalla maggiore implicazione in guerre, conflitti e
interventi imperialisti con utilizzo anche di armi nucleari.