28 giugno, ore 19
Munizioniere
Cinquant’anni fa, il 26 giugno 1967, moriva a Firenze Don Lorenzo Milani.
Chi conosce la sua intransigenza, e l’importanza che attribuiva alla padronanza
della lingua ed alla parola, comprende la difficoltà di definirlo con aggettivi.
Rivoluzionario? Profeta? Pedagogista? Forse lui preferirebbe semplicemente
“maestro”…
Don Lorenzo Milani, maestro
1967: il 26 giugno, all’età di quarantaquattro anni, moriva a Firenze Don Lorenzo Milani.
Cinquant’anni fa in Italia gli analfabeti erano 5 milioni, il 13% della popolazione; A Barbiana, dove era stato mandato per “punizione” dopo l’esperienza di parroco a San Donato di Calenzano, si trova ad operare in una realtà rurale arretratissima; i suoi parrocchiani sono braccianti, pastori e operai, perlopiù analfabeti.
La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era solo una scuola
elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta
semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione
civile e non solo religiosa.
Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una
scuola.
Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al
giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso
orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in
città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola
dicono che li sacrifico.
1. Sympathy
2. Prendi la chitarra e vai
Lettera a Nicola Pistelli: “Il galateo, legge mondana, è stato eletto a legge morale nella Chiesa. Chi dice coglioni va all’inferno. Chi invece non lo dice, ma ci mette un elettrodo, chi non lo dice ma non persegue i poliziotti che si macchiano ci queste atrocità e persegue invece il libro che testimonia queste cose viene in visita in Italia e il galateo vuole che lo si accolga col sorriso”
“Chiameremo culo il culo, quando occorre, non una volta di più né una di meno, come tutte le altre parole del vocabolario, senza borghesi distinzioni; scorrette sono solo le parole inutili e false”.
“Leopoldo del Belgio non ha mai detto culo in vita sua. Forse ai balli faceva perfetti baciamani alle signore. Ha però detto con grande signorilità parlando dei “suoi negri”. Tagliate loro le mani se non obbediscono (Pecorini, 1966, appunti per un nuovo galateo)
Possiamo immaginare come fu giudicata la lettera di Don Milani che scriveva a Nicola Pistelli…
Oggi ci fa sorridere, ma nell’Italia bigotta del 1967 cantare “E’ dall’amore che nasce l’uomo” poteva creare problemi di censura. E The House of The Rising Sun, canzone statunitense del 1964, che parlava di un bordello, fu vittima della censura quando fu tradotta in italiano.
3. E’ dall’amore che nasce l’uomo
4. The House of the Rising Sun
Dalla “Lettera a una professoressa”:
Consegnandomi un tema con un quattro lei mi disse: «Scrittori si nasce, non si diventa». Ma intanto prende lo stipendio come insegnante d’italiano . La teoria del genio è un’invenzione borghese. Nasce da razzismo e pigrizia mescolati insieme. Anche in politica piuttosto che arrabattarsi nel pensiero complesso dei partiti è più facile prendere un De Gaulle, dire che è un genio, che la Francia è lui. Così fa lei con l’italiano. Pierino ha il dono. Io no. Riposiamoci tutti: (….)
L’arte dello scrivere s’insegna come ogni altr’arte.
Noi dunque si fa così: Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola. Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli.
(….). Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola.
Si chiama un estraneo dopo l’altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire.
Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza.
Si rifiutano i consigli di prudenza.
(….)Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende
l'espressione altrui.
Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli.
Gli onorevoli costituenti credevano che si patisse tutti la voglia di cucir
budella o di scrivere ingegnere sulla carta intestata: «I capaci e meritevoli
anche se privi di mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli
studi».*
Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro
che medico o ingegnere.
5. Power To The People
6. Canzone del maggio
Dalla “Lettera a una professoressa”
Cara signora,
lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti.
Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete».
Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.
Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva.
Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto.
Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla.
Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sé. Gli operai poi non se ne parla.
Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento.
Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è né viltà né eroismo. È solo mancanza
di prepotenza.
Dalla “ due lettere al direttore di Avvenire” 15 dicembre’ 55,, parlando di diritto all’acqua e di Costituzione, e 28 marzo ‘56
C’è un baco interiore dunque che svuola la grandiosità dell’edificio. Il nome di quel baco tu lo conosci. Si chiama idolatria del diritto di propietà”
“Sulle famiglie e le loro leggi ne sa troppo un ragazzo di qui che uno dei vostri. Passa un trasporto e non sapete chiè morto, se ha lasciato dietro di sé pianto o litigi. Cosa volete dunque sapere della vita all’infuori del ristretto cerchio di casa vostrae di quello dei libri che leggete?
7. Quello che non ho
8. Eleanor Rigby
Di dove viene tutta questa gente sola? L’agenzia dell’ONU per i rifugiati ha dedicato questa canzone del 1966, Eleanor Rigby, a tutti i rifugiati
Nel 1965 un gruppo toscano di «cappellani militari in congedo», riunitosi a Firenze «nell’anniversario della conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano», considerava «un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà».
Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di
sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati.
Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria
chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai
miei ragazzi. Le avevano già intuite.
E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita.
Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha libertà
di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino
al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande "I care".
È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi sta
a cuore". È il contrario esatto del motto fascista "Me ne frego".
L’obiezione di coscienza al servizio militare diventò legge in Italia, ultima tra le nazioni europee, nel 1972.
Forse non molti sanno che anche Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, destinati ad essere concosciuti in tutto il mondo per l’ingiusta condanna che subirono, furono renitenti alla leva.
Nel 1917 fuggirono in Messico per non prestare servizio militare.
E in tutto il mondo c’è qualcuno che continua a mettere in musica le ragioni di chi si rifiuta di uccidere
9. Here’s To You
Da: L’obbedienza non è più una virtù “Non voglio in questa lettera riferirmi al
Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che
per sé non accettò nemmeno la legittima difesa.
Mi riferirò piuttosto alla Costituzione.
Articolo 11 «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli...».
Articolo 52 «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».
Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in
un secolo di storia.
Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle
Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire
o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi
difese più la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che
obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi
discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa
avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo? E se l'ordine era il
bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme,
l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi atomiche,
batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i processi
sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato
della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria),
una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un ufficiale ribelle al popolo
sovrano, la repressione di manifestazioni popolari?
10. Aquarius
11. Ti ricordi Joe
Da: l’obbedienza non è più una virtù:Poi siamo al '14. L'Italia aggredì
l'Austria con cui questa volta era alleata.
Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va
chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella
guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere
gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti?
Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque
la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una
«inutile strage»? (l'espressione non è d'un vile obiettore di coscienza ma d'un
Papa canonizzato).
Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non la
difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti
l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza
«cieca, pronta, assoluta» quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al
mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali
che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria,
condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non
avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra «Patria», quelli che di
quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che
parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia
detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).
Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame
aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar «volontari» a
aggredire l'infelice popolo spagnolo.
Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo
legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano e al prezzo d'un
milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco
dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei
partiti, d'ogni libertà civile e religiosa.
12. C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones
13. Generale
Dalla Lettera ai giudici
Non discuterò qui l'idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.
Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri
allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di
dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori
dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi
avete il diritto senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani
e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io
reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i
ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi
approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani
e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e
il voto
Dalla lettera ai giudici: Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
14. Il disertore
Caro Pipetta, ogni volta che ci incontriamo tu mi dici che se tutti i preti fossero come me, allora ... Lo dici perché tra noi due ci siamo sempre intesi anche se te della scomunica(1) te ne freghi e se dei miei fratelli preti ne faresti volentieri polpette. Tu dici che ci siamo intesi perché t'ho dato ragione mille volte in mille tue ragioni.
(…)
Ma non me lo dire per questo, Pipetta, ch'io sono l'unico prete a posto. Tu credi di farmi piacere. E invece strofini sale sulla mia ferita.
E se la storia non mi si fosse buttata contro, se il 18... non m'avresti mai veduto scendere lì in basso, a combattere i ricchi.
Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero a aver ragione.
Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione.
(…)
Pipetta, tutto passa. Per chi muore piagato sull'uscio dei ricchi, di là c'è il Pane di Dio.
E solo questo che il mio Signore m'aveva detto di dirti. E' la storia che mi s'è buttata contro, è il 18 aprile che ha guastato tutto, è stato il vincere la mia grande sconfitta.
Ora che il ricco t'ha vinto col mio aiuto mi tocca dirti che hai ragione, mi tocca scendere accanto a te a combattere il ricco. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l'unico grido di vittoria degno d'un sacerdote di Cristo: “Beati i... fame e sete”.