Droni. Frontiere tecnologiche
di Antonio Mazzeo
L’uso
indiscriminato dei droni rende le guerre sempre più violente e illegittime. Da
radar a spie, un utilizzo spietato che vuol coinvolgere anche l’Italia, ponendo
una base di controllo del programma Nato a Sigonella.
Il loro uso indiscriminato in Afghanistan, Pakistan e Yemen ha determinato
un’inattesa crisi politico-istituzionale a Washington. Da una parte
l’amministrazione Obama che li difende, dall’altra numerosi congressisti
bipartisan e le organizzazioni non governative di difesa dei diritti umani che
ne denunciano le operazioni di guerra sempre più illegittime e sanguinarie. I
droni, l’ultima frontiera delle tecnologie di morte e business plurimiliardario
per i contractor del Pentagono. Velivoli senza pilota guidati da operatori
davanti a un terminale a migliaia di chilometri di distanza, macchine infernali
programmate alcune per spiare e coordinare gli attacchi aerei e missilistici,
altre per inseguire, colpire e uccidere autonomamente. Le forze armate
statunitensi li utilizzano ormai comunque, dovunque e contro chiunque.
Un’escalation di omicidi selettivi di presunti guerriglieri e “terroristi” e di
stragi “per errore” di civili, donne e bambini. Tra i maggiori strateghi delle
guerre dei droni, il neodirettore della Cia John Brennan, benvoluto e
corteggiato dal Presidente, poco stimato dalla società civile democratica Usa
che ne chiede la rimozione dalla guida dell’onnipotente centrale d’intelligence.
“Con l’uso dei droni vengono messi a rischio cinquant’anni di diritto
internazionale”, ha dichiarato l’avvocato sudafricano Christof Heyns, relatore
speciale Onu sui temi del controterrorismo e delle esecuzioni extragiudiziali.
Le Nazioni Unite hanno dato vita ad una commissione d’inchiesta per documentare
come i velivoli teleguidati siano stati realmente utilizzati nelle guerre
globali e permanenti degli Stati Uniti d’America, dai militari britannici in
Afghanistan e dagli israeliani a Gaza. “Il danno collaterale può essere minore
rispetto a un bombardamento aereo, ma poiché si elimina il rischio di perdite
militari, l’utilizzo dei droni può diventare smodato”, ha aggiunto Philip Alston,
altro relatore speciale delle Nazioni Unite.
Nei mesi scorsi anche Pax Christi International si è espressa per la proibizione
dell’utilizzo dei velivoli senza pilota come armi belliche. “Il loro uso
crescente ha inaugurato una nuova fase nelle guerre moderne e sta ponendo
pesanti questioni morali e legali che richiedono un’attenzione immediata a
livello generale”, scrive l’organizzazione con sede a Bruxelles. “Gli attacchi
dei droni Usa hanno assassinato centinaia di civili e feriti molti altri.
Inoltre, i le loro operazioni di volo 24 ore al giorno sulla testa di intere
comunità non ne hanno assicurato la protezione ma hanno soprattutto terrorizzato
uomini, donne e bambini. Esse hanno causato tremendi traumi psicologici e gravi
stati d’ansietà tra la popolazione civile; hanno frantumato le attività
comunitarie essenziali come quelle scolastiche, pregiudicando gli sforzi di
risoluzione delle dispute tribali”. Pax Christi rileva poi come l’utilizzo dei
droni si sia dimostrato tutt’altro che utile anche sul fronte prettamente
militare. In Pakistan, in particolare, i bombardamenti sempre più massicci
contro i villaggi hanno reso assai critiche le relazioni di Washington con le
autorità politico-militari locali, mentre la rabbia e il dolore delle vittime
hanno accresciuto il consenso popolare verso le azioni dei gruppi armati
anti-governativi.
“L’oggettivazione degli esseri umani colpiti e la loro distanza riduce
probabilmente la soglia entro cui si sceglie di utilizzare la violenza armata
per risolvere i conflitti”, aggiunge l’organizzazione internazionale. “Nel
prossimo futuro, nei campi di battaglia si punterà all’opzione di rendere
pienamente autonomi i droni, trasformandoli in veri e propri killer robot,
capaci di prendere loro stessi la decisione di uccidere, senza che ci sia un
operatore umano in rete”.
Mentre a livello internazionale, tra differenti settori sociali, culturali,
religiosi, politici e giuridici si è aperto un dibattito serrato sulla
legittimità dei droni come arma d’eccellenza per i conflitti del XXI secolo, in
Italia il tema è quasi del tutto ignoto. Eppure le nostre forze armate usano da
tempo i droni-spia nel conflitto afgano e attendono dal Congresso Usa
l’autorizzazione ad armare i Predator con sofisticati missili e bombe
teleguidate. Nel corso della recente guerra in Libia, il governo italiano ha
autorizzato la coalizione a guida Nato a utilizzare lo scalo siciliano di
Sigonella come avamposto per i droni-killer anti-Gheddafi. Inoltre da quattro
anni sempre a Sigonella l’Us Air Force ha schierato tre velivoli senza pilota
“Global Hawk” per le operazioni di sorveglianza in una vasta area geografica che
dal Mediterraneo si estende sino all’intero continente africano. Nell’assoluto
disinteresse dei media e delle forze politiche e sociali, il Dipartimento della
difesa ha dichiarato la grande base siciliana capitale mondiale dei droni: entro
il 2015 buona parte dei velivoli in dotazione ad aeronautica e marina militare
opererà da Sigonella. Nella base funzionerà inoltre un grande centro di
manutenzione e riparazione dei “Global Hawk” e dei droni killer tipo “Predator”
e “Reaper”.
Entro il 2017 diventerà pienamente operativo in Sicilia pure il programma Nato
denominato Alliance Ground Surveillance (AGS) che punta a potenziare le capacità
d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento dei paesi dell’Alleanza atlantica.
L’AGS fornirà informazioni in tempo reale per compiti di vigilanza aria-terra a
supporto dell’intero spettro delle operazioni alleate nel Mediterraneo, Balcani,
Africa e Medio oriente. Al programma, il più costoso della storia dell’Alleanza,
hanno aderito in verità solo 13 paesi: Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia,
Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Romania,
Slovacchia, Slovenia e Stati Uniti. Il sistema AGS si articolerà in stazioni di
terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto
operativo alle missioni e da una componente aerea basata su cinque velivoli a
controllo remoto RQ-4 “Global Hawk” Block 40 (una versione modificata del Block
30 già operativo a Sigonella). Lunghi 14,5 metri e un’apertura alare di 40, i
velivoli voleranno in qualsiasi condizione meteorologica per 32 ore sino a 18,3
km d’altezza. “I potentissimi sistemi radar a bordo dei droni saranno in grado
di scansionare ampie porzioni di terreno fissando i potenziali bersagli con
un’affidabilità inferiore al metro”, annunciano gli alti comandi Nato di
Bruxelles. I radar saranno anche capaci di fornire una “capacità aeroportata di
indicazione del bersaglio per missili da crociera”.
A Sigonella, dove giungeranno nei prossimi mesi 800 militari dei paesi
dell’Alleanza, opererà il centro di coordinamento e controllo del sistema AGS in
cooperazione con i “Global Hawk” Usa e potrà contare pure sul supporto dei
velivoli senza pilota “Sentinel” in dotazione alle forze armate britanniche ed
“Heron R1” che la Francia ha prodotto congiuntamente ad Israele. Successivamente
l’AGS s’interfaccerà con il programma di ricognizione marittima su larga scala
Bams (Broad Maritime Area Surveillance) che la Marina militare Usa attiverà
grazie ad una generazione di droni-spia ancora più sofisticata e ai costruendi
pattugliatori P-8 “Poseidon”.
Il consenso del governo italiano alla iperdronizzazione della base di Sigonella
è stato dato in cambio dell’impegno Usa e Nato ad affidare un paio di modeste
commesse alle aziende leader del complesso militare industriale nazionale. Nello
specifico, Selex Galileo (una controllata Finmeccanica confluita qualche mese fa
in Selex Es) ha sottoscritto un contratto del valore di 140 milioni di euro con
la Northrop Grumman Corporation - capocommessa del programma AGS - per
predisporre la componente fissa e mobile del segmento di terra del nuovo sistema
di sorveglianza. L’azienda italiana dovrà poi fornire il proprio contributo alla
“suite” di telecomunicazioni, assicurando il collegamento dati su banda larga
(prodotto da Selex Elsag, altra società Finmeccanica) con le piattaforme aeree.
L’importo della commessa AGS di Selex Galileo è poco superiore al 10% del valore
complessivo del contratto (1,2 miliardi di euro) che la Northrop Grumman ha
sottoscritto con la Nato il 20 maggio 2012. Le logiche di guerra sono inique e
spietate: in cambio di pochi spiccioli nelle tasche dei manager e degli
azionisti del gruppo Finmeccanica, l’asse Washington-Bruxelles-Roma ordina
l’invasione dei cieli siciliani da parte di stormi di droni-avvoltoi, imponendo
pesanti limitazioni al traffico aereo civile e al diritto alla mobilità di
milioni di abitanti.
Articolo pubblicato in Mosaico di pace, n. 4-5, aprile-maggio 2013
Antonio Mazzeo, peace-researcher e giornalista, ha pubblicato numerosi saggi ed inchieste sui processi di riarmo e militarizzazione in Italia e nel Mediterraneo. Nel 2012 ha pubblicato il volume Un EcoMuostro a Niscemi. L’arma perfetta per i conflitti del XXI secolo (Sicilia Punto L, Ragusa) in cui si descrivono le problematiche di tipo militare, ambientale, sociale e criminogeno relative all’installazione in Sicilia del terminale terrestre del MUOS. Nel 2010 ha conseguito il Primo premio “Giorgio Bassani” di Italia Nostra per il giornalismo. È attivista della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella e del Movimento No MUOS. Per consultare articoli e pubblicazioni: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/