Come l’Europa fortezza nega l’asilo ai rifugiati siriani
 

di Antonio Mazzeo 

Più di 2 milioni e 300.000 rifugiati siriani registrati a dicembre, il 52% dei quali minori di età, a cui si aggiungono almeno 4 milioni e 250 mila persone sfollate nel paese. In tutto, più di 6 milioni e mezzo di uomini, donne e bambini che hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni per scampare agli orrori del conflitto in Siria, quasi un terzo dell’intera popolazione. Di questi, però, solo 55.000 sono riusciti a entrare nell’Unione europea e a chiedere asilo, ma gli stati membri hanno dato disponibilità ad accoglierne appena 12.000. “Si tratta dello 0,5% dei siriani che hanno lasciato il paese, una dimostrazione che l’Ue ha miseramente mancato di fare la sua parte per fornire un riparo sicuro a coloro che non hanno più niente se non la loro vita”, ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, in occasione della presentazione del rapporto intitolato Un fallimento internazionale: la crisi dei rifugiati siriani. “Il numero dei reinsediamenti previsti è davvero deplorevole e i leader europei dovrebbero abbassare la testa per la vergogna”, ha aggiunto Shetty. “Le loro parole suonano banali di fronte alla realtà. L’Europa deve aprire i suoi confini, favorire ingressi sicuri e porre fine a queste gravi violazioni dei diritti umani”.

Amnesty International denuncia come solo dieci stati membri dell’Ue abbiano offerto il reinsediamento o l’ammissione umanitaria ai rifugiati provenienti dalla Siria. “Coloro che ce l’hanno fatta a passare attraverso le barricate della fortezza europea si sono diretti in buona parte in Germania e Svezia, i paesi che hanno offerto il maggiore aiuto ai richiedenti asilo”, si legge nel report. Dall’ottobre 2011 all’ottobre 2013, la Svezia ha ricevuto 20.490 nuove richieste d’asilo, mentre la Germania 16.100. Gli altri stati dell’Ue si sono impegnati a prendere soltanto 2.340 rifugiati. In Grecia, Cipro e Italia, meno di 1.000 persone hanno chiesto asilo in ciascuno dei tre paesi; la Francia ha offerto disponibilità per 500 persone, lo 0,02% del totale delle persone fuggite, mentre la Spagna si è limitata ad accogliere appena una trentina di richiedenti, ossia lo 0,001% del totale dei rifugiati.

Il 97% dei cittadini fuggiti dalla Siria si sono diretti verso i cinque paesi confinanti: Turchia, Egitto, Iraq e soprattutto Libano e Giordania, dove oggi risiedono rispettivamente 835.735 e 566.303 rifugiati. “Ciò ha comportato un aumento della popolazione residente in Libano del 20%, mentre quella della Giordania del 9%”, aggiunge Amnesty International. “In questi due paesi la maggior parte dei rifugiati siriani vive in condizioni assai precarie in campi profughi superaffollati, in centri di accoglienza comunitari o in insediamenti informali”. In Giordania circa un terzo dei rifugiati è ospitato in sei campi, il più affollato dei quali è Zaatari, il secondo campo profughi più grande al mondo, con 117.000 residenti. Il resto dei rifugiati siriani vive in villaggi e cittadine nei pressi del confine settentrionale con la Siria e nella capitale Amman. “Non ci sono invece campi profughi ufficiali in Libano, eccetto quelli che da lungo tempo ospitano rifugiati palestinesi”, riporta Amnesty International. “Così i siriani sono costretti a vivere ai margini delle città, in campi informali che loro stessi hanno realizzato”.

Il numero dei rifugiati registrati in Turchia è di 536.765 persone, ma secondo il governo locale la cifra avrebbe già superato quota 700.000. Duecentomila siriani sono “ospiti” di campi profughi gestiti dallo stato. L’organizzazione internazionale in difesa dei diritti umani denuncia tuttavia che dal marzo 2013, più di 600 rifugiati siriani sono stati espulsi dalla Turchia e deportati in Siria. “Da allora - spiega Salil Shetty - abbiamo ricevuto numerose denunce di ulteriori rimpatri forzati di persone accusate dalle autorità turche di condotte criminali o presunte violazioni di legge”.

Secondo l’UNHCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, al 30 novembre 2013, erano stati registrati in Libia 15.898 rifugiati siriani, ma la popolazione siriana ivi residente è stimata in non meno di 200.000 persone. Il diritto d’ingresso dei rifugiati in Libia è stato progressivamente ridotto a partire dal settembre 2012, dopo l’attacco terroristico contro il consolato USA di Bengasi. Ulteriori restrizioni sono state decretate nel gennaio 2013 con l’imposizione del visto d’ingresso a tutti i siriani. “Ciò ha costretto centinaia di rifugiati a fare ingresso nel paese utilizzando rotte non ufficiali, esponendosi al pericolo e allo sfruttamento di trafficanti e delle differenti milizie armate esistenti”, denuncia Amnesty. “La Libia non possiede un sistema nazionale di asilo; la maggior parte dei rifugiati che vive nel paese ha uno status migratorio irregolare, nonostante la decisione del Ministero dell’Interno di dare i permessi di residenza a coloro che si registrano presso l’Ufficio passaporti”. Come rilevato da Amnesty International durante una visita in Libia nel novembre 2013, spesso i permessi di residenza non verrebbero riconosciuti dalla autorità locali e dalle milizie armate cresciute numericamente dopo la fine del conflitto del 2011. “In alcuni casi i rifugiati siriani sono stati detenuti arbitrariamente in centri di detenzione per immigrati con l’accusa di risiedere illegalmente in Libia”, aggiunge Amnesty. “Gli intervistati hanno denunciato di essere stati vittime di aggressioni fisiche da parte di uomini armati, furti, vessazioni verbali e, in alcuni casi, di sequestri di persona. Altri hanno raccontato di essere stati sottoposti a gravi forme di sfruttamento, a lavori forzati, con salari bassissimi e, talvolta, di non aver percepito perfino alcuna forma di pagamento”.

Per 12.000 siriani a cui l’Ue ha riconosciuto il diritto al reinsediamento, altre decine di migliaia sono costretti a rischiare un viaggio pericoloso via terra o via mare per raggiungere un’Europa sembra più barricata e militarizzata. Dall’1 gennaio al 31 ottobre 2013, 10.680 rifugiati siriani hanno raggiunto le coste italiane dopo aver lasciato i porti in Egitto, Libia, Turchia e Siria. Altri hanno raggiunto la Grecia via mare attraverso l’Egeo o dal confine terrestre con la Turchia. “Abbiamo visto centinaia di cittadini siriani perdere la vita nel Mediterraneo”, ha commentato amaramente Salil Shetty. “Ed è deplorevole che chi rischia l’incolumità e la vita per arrivare qui sia respinto in modo violento dalla polizia o dalla guardia di frontiera o posto in stato di detenzione per settimane in condizioni realmente squallide, con cibo acqua e cure mediche insufficienti”.

Il viaggio verso l’Italia è sicuramente quello che ha generato le peggiori tragedie. Nei primi dieci mesi del 2013 il numero dei rifugiati e dei migranti provenienti dall’Africa del Nord annegati in mare è stato stimato in 650 persone. Nel suo rapporto sull’incapacità internazionale a dare risposte adeguate alla crisi umanitaria siriana, Amnesty International dedica un passaggio al tragico naufragio di un’imbarcazione con più di 500 persone a bordo, l’11 ottobre 2013, a largo di Lampedusa. “Molti di essi erano rifugiati siriani”, scrive l’Ong. “Secondo il racconto dei sopravvissuti, l’imbarcazione fu danneggiata mentre lasciava le acque della Libia da un’unità militare libica che aprì il fuoco contro di essa. L’imbarcazione danneggiata iniziò velocemente ad essere invasa dall’acqua e successivamente affondò portandosi con sé centinaia di uomini, donne e bambini. I sopravvissuti hanno dichiarato di essere rimasti in acqua per ore prima di essere assistiti dalle unità maltesi e italiane”.

Innumerevoli gli abusi e le violazioni compiute dalle autorità di frontiera dell’Unione europea. “Le politiche di controllo dell’Ue sono sempre più pregiudizievoli dei diritti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti”, denuncia Amnesty. “Le misure di controllo dei confini introdotte negli ultimi anni, inclusa l’esternalizzazione delle funzioni anti-migratorie e la costruzione di reticolati, hanno comportato pesanti effetti a danno dei diritti di coloro che chiedono di fare ingresso nell’Unione europea. L’Unione europea ha certo il diritto di controllare le sue frontiere, ma la maniera con cui lo fa non può comportare la violazione dei diritti umani, come sta accadendo oggi”.

Amnesty rileva, in particolare, come l’Ue abbia finanziato massicciamente i programmi di potenziamento del controllo delle frontiere esterne della Grecia. Negli ultimi due anni, la Commissione europea – nell’ambito del cosiddetto Return and External Borders Fund - ha assegnato alla Grecia 228 milioni di euro per installare sistemi elettronici di vigilanza e accrescere le capacità di detenzione delle persone entrate illegalmente nel paese. Nello stesso periodo, la Grecia ha ricevuto solo 12 milioni e 220 mila euro dal Fondo Europeo per i Rifugiati che sostiene le attività di accoglienza. Grazie ai contributi finanziari, le autorità greche hanno completato la costruzione di 10,5 km di reticolati anti-migranti lungo i 203 km di frontiera con la Turchia, attivando inoltre 2.000 nuovi vigilantes a partire dell’estate 2012. “Queste misure hanno spesso costretto i rifugiati a percorrere rotte sempre più pericolose nel mar Egeo”, aggiunge Amnesty International. “Nei loro disperati tentativi di ottenere protezione in Europa, molti rifugiati, comprese le famiglie con neonati e bambini piccoli, spendono i loro ultimi risparmi per pagare i trafficanti e navigare a bordo di piccole e superaffollate imbarcazioni, inidonee alla navigazione”. Come il Canale di Sicilia, anche il mare tra la Grecia e la Turchia è lo scenario di infinite tragedie. Dall’agosto 2012 ad oggi, perlomeno 130 rifugiati, provenienti in buona parte dalla Siria e dall’Afghanistan, hanno perso la vita mentre tentavano di approdare in Grecia, negli undici naufragi sino ad oggi accertati.

Amnesty International rileva infine come molti rifugiati giunti in Grecia e Bulgaria abbiano subito trattamenti degradanti e disumani. “Rifugiati siriani hanno raccontato di essere stati sottoposti a maltrattamenti dagli agenti di polizia o della guardia costiera della Grecia, che con armi in pugno e protetti dai caschi, li hanno pure privati di tutti i loro beni e, alla fine, li hanno respinti verso la Turchia”. Il numero delle operazioni illegali di respingimento dalla Grecia non è noto, ma l’Ong ritiene che abbia riguardato centinaia di persone. In Bulgaria, nei primi undici mesi del 2013, sono arrivati non meno di 5.000 rifugiati. La maggior parte è ospitata in centri di emergenza, il principale dei quali si trova nella città di Harmanli. “Si tratta, a tutti gli effetti, di un centro di detenzione”, denuncia Amnesty. “Il nostro staff vi ha trovato rifugiati detenuti - in alcuni casi da oltre un mese - in condizioni squallide in container, edifici in rovina e tende. Mancavano strutture igienico-sanitarie adeguate e il cibo, i medicinali e i letti scarseggiavano. Un ampio numero di detenuti, tra cui anche persone ferite durante il conflitto, necessitava di cure mediche, altre avevano contratto malattie croniche o avevano disturbi mentali”.L’Europa fortezza armata sconosce sempre più diritti e senso d’umanità.

 

Antonio Mazzeo, peace-researcher e giornalista, ha pubblicato numerosi saggi ed inchieste sui processi di riarmo e militarizzazione in Italia e nel Mediterraneo. Nel 2012 ha pubblicato il volume Un EcoMuostro a Niscemi. L’arma perfetta per i conflitti del XXI secolo (Sicilia Punto L, Ragusa) in cui si descrivono le problematiche di tipo militare, ambientale, sociale e criminogeno relative all’installazione in Sicilia del terminale terrestre del MUOS. Nel 2010 ha conseguito il Primo premio “Giorgio Bassani” di Italia Nostra per il giornalismo. È attivista della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella e del Movimento No MUOS. Per consultare articoli e pubblicazioni: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/