PAPA GIOVANNI  XXIII 
   patrono dell'esercito?

La guerra? Roba da matti (alienum a ratione), scriveva Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, l'enciclica del 1963 che condannò la guerra e ne denunciò l'irragionevolezza, tanto più nell'era atomica. Oggi, a 50 anni di distanza, Giovanni XXIII - beatificato nel 2000 insieme a Pio IX, un accoppiamento "innaturale" e denso di polemiche - potrebbe diventare il santo patrono dell'esercito. Perlomeno così vorrebbero l'arcivescovo ordinario militare Vincenzo Pelvi, i vertici delle Forze armate e il ministro della Difesa Ignazio La Russa, nel cui sito internet si annuncia trionfalmente: «Giovanni XXIII patrono dell'esercito». L'intento, se andrà in porto, è chiaro: legittimare ulteriormente, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, guerre umanitarie e bombe intelligenti, perché con papa Giovanni patrono dell'esercito, ogni missione militare sarà missione di pace, assai più di oggi. Del resto lo ha ribadito anche Benedetto XVI, lo scorso fine settimana, al convegno degli Ordinariati militari di tutto il mondo: è possibile «essere militari per amore», ha detto papa Ratzinger, ricordando il «soldato impegnato a disinnescare mine» e il militare che, «nell'ambito delle missioni di pace, pattuglia città e territori affinché i fratelli non si uccidano fra di loro». E se è lui ad uccidere, pazienza.
Santi ossimori
«Il nostro esercito ha bisogno di calore umano, di affetto reciproco, di costruttivo dialogo, di quello spirito di pace che unisce», come sosteneva anche il «magistero pontificio di Giovanni XXIII», ha detto nell'omelia della messa celebrata nella basilica romana di Santa Maria in Aracoeli per «promuovere la devozione del beato Giovanni XXIII quale santo patrono dell'esercito» mons. Pelvi, che è arcivescovo castrense e, insieme, generale di corpo d'armata - il grado che spetta agli ordinari militari -, con uno stipendio di 9 mila euro al mese, secondo i calcoli dell'agenzia Adista. «Basti ricordare le centinaia di ragazzi che vedeva morire nelle retrovie dove era cappellano» e «il rumore della rivoluzione staliniana ben udibile dalla Bulgaria (dove era visitatore apostolico, ndr) del primo decennio dopo la morte di Lenin», ha detto ancora Pelvi durante la celebrazione a cui hanno partecipato le massime autorità militari, tra le quali il capo di Stato maggiore dell'esercito, Giuseppe Valotto.
Il giovane Roncalli, in effetti, il servizio militare l'ha svolto, ma ben lontano dalle retrovie del fronte: fra il 1901 e il 1902, a Bergamo, al posto del fratello maggiore, la cui presenza era necessaria in famiglia per il lavoro nei campi; e poi nel 1915-1918, durante la I guerra mondiale, come cappellano nell'ospedale di Bergamo. E, nonostante il clima nazionalista a cui peraltro non sfuggì nemmeno il futuro papa Giovanni, non sembra conservarne un ricordo piacevole: «Tornato a casa - scrive nel suo diario - ho voluto staccare dai miei abiti e da me stesso tutti i segni del servizio militare», che definisce una «schiavitù».

di Luca Kocci  (il manifesto)

 


 

Tratto dal blog:

I signori delle guerre

Ma stiamo scherzando con il fuoco? Il papa della “PACEM in TERRIS” (documento contro la guerra che condannava le guerre…) viene proposto come PATRONO dell’ ESERCITO? E da quanto in quà l’esercito e le armi portano la PACE? 

 LEGGETE e diffondete quest’info davvero tutto assurdo!

Una cosa che non si può nemmeno pensare, che non c’entra nulla con la ragione. In pratica, una cosa “fuori di testa”. E’ tale la definizione che Papa Giovanni XXIII fa della guerra nella sua Lettera Enciclica “Pacem in terris” del 1963. Una pagina meditata, tra le ultime del suo Pontificato, che costituisce ancora oggi una riflessione ed un manifesto forte e concreto sul tema della Pace e della sua costruzione. Che tanto si deve allontanare dalle vie della guerra

Non é mica questo il messaggio di Cristo che ha preferito farsi uccidere piuttosto che essere difeso da un esercito quando gli fu chiesto di farlo? E al gesto di Pietro che colpì con la lancia il soldato romano, gli impose di deporre immediatamente l’arma…Il messaggio dell Vangelo si fonda sull’AZIONE NONVIOLENTA. Agli inizi del Cristianesimo ad ogni uomo che voleva avvicinarsi alla fede veniva chiesto di scegliere  tra: IL BATTESIMO o l’ esercito.

Perché se si é con CRISTO non si possono accettare ne giustificare gli eserciti. BIsogna assolutamente riconvertire gli eserciti per i soli usi civili. La Pace non é fruttodi armi ma di giustizia e di dialogo.

 

Chi si professa e sceglie la PACE per compagna di strada deve assolutamente DECIDERE da che parte stare, non può stare con il piede in due staffe.

 

LEGGETE, DOCUMENTATEVI, IMPARARE, INFORMATEVI e condividete. La troppa disinformazione su questi argomenti ci sta portando fuori ogni logica di ragionevolezza

 

 

   

L'Ordinario Militare celebra una messa per promuovere il culto come patrono dell'Esercito del "papa buono", che ha definito la guerra una cosa fuori da ogni ragione

"Alienum est a ratione"... cioè una cosa che non si può nemmeno pensare, che non c'entra nulla con la ragione. In pratica, una cosa "fuori di testa". E' tale la definizione che Papa Giovanni XXIII fa della guerra nella sua Lettera Enciclica "Pacem in terris" del 1963. Una pagina meditata, tra le ultime del suo Pontificato, che costituisce ancora oggi una riflessione ed un manifesto forte e concreto sul tema della Pace e della sua costruzione. Che tanto si deve allontanare dalle vie della guerra.
 

E cosa ti pensano invece all'Ordinariato Militare per l'Italia? Di celebrare una Messa (officiata il 24 ottobre 2011 in Santa Maria in Aracoeli) per promuovere la devozione quale santo patrono dell'Esercito... Non si potevano scegliere i santi guerrieri dell'antichità, o qualche bellicosa figura più vicino ai nostri tempi? E' stato necessario andare a scomodare il "Papa buono", che mai si penserebbe legato ad armi, divise, gradi e mostrine... E che invece ha avuto la forza di scrivere (sempre nella "Pacem in terris") parole chiare e forti a favore del disarmo: "Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale".

Questo accostamento ardito, questa scelta che appare davvero irrazionale ed insensata forse, al contrario, non lo è per niente. E nasconde invece un calcolo preciso, e l'intenzione di procedere sempre di più a sdoganare un tema difficile come la guerra rendendolo (almeno simbolicamente) innocuo e tranquillo, tale da non destare acluna preoccupazione. Una strada che si è iniziata a percorrere da quando gli interventi militari in aree di conflitto (giusti o sbagliati che siano, qui poco importa) hanno mutato il loro nome in "missioni di pace" o "interventi umanitari".

A mio parere questo percorso che pare di imposizione politica e culturale nasconde al contrario una grande debolezza: quella di chi non sa più giustificare le proprie scelte dolorose - per la violenza che automaticamente deve seguirne e le grandi risorse che allo scopo vengono quindi sottratte ad utilizzi socialmente più vantaggiosi - se non incartandole con parole e richiami del campo contrario. Il tentativo, un po' infantile e speriamo vano, di travestire il "lupo guerra" da tenero agnellino.

Senza capire che solo l'eliminazione della guerra e delle sue strutture e strumenti dall'orizzonte della ragione e della politica potrà infine cancellare la guerra stessa dalla storia. E mi piace pensare che, di fronte a questa recente notizia, lo stesso Giovanni XXIII, il papa buono delle carezze ai bambini, si sarebbe lasciato scappare la frase (magari detta con il suo schietto accento bergamasco): "E' proprio una cosa fuori di testa

 Autore: Francesco Vignarca

 


 Lettera aperta all’Ordinario Militare d’Italia, S.E.R. Mons. Vincenzo Pelvi.

 

Caro fratello Vescovo,

le chiedo anzitutto di voler benevolmente accogliere lo stile non formale che ho scelto per questa lettera, proprio perché in essa esprimo questioni di fede e dunque di qualcosa che ci tiene strettamente in comunione, appunto come fratelli nello stesso Vangelo, lei come pastore ed io come semplice fedele, da decenni impegnato nell’educazione alla pace con il movimento Pax Christi.

 Da tempo pensavo di scriverle per aprire un dialogo sereno, sincero e fruttuoso in tema di pace e nonviolenza, Chiesa e forze armate. Infine ecco giunta la decisione di non rinviare più, poiché in questi giorni ho appreso la notizia che il Beato Papa Giovanni XXIII sarebbe stato proclamato – o potrebbe esserlo, non mi è ben chiaro- Santo Patrono dell’Esercito Italiano.

 Quella dei cappellani militari e di una “Chiesa militare” è una scelta che, alla luce del messaggio evangelico, proprio non capisco. Sia ben chiaro, non ho alcuna intenzione di negare che coloro che appartengono alle forze armate abbiano il diritto di ricevere una cura spirituale; il problema semmai è di una Chiesa che non si pone coerentemente in maniera dialettica nei confronti dell’istituzione militare, ma vi prende parte: sceglie di essere militare tra i militari. E’ come se i sacerdoti che, meritoriamente, lavorano fianco a fianco coi tossicodipendenti, dovessero necessariamente drogarsi per svolgere quel loro servizio! Se lo immagina un don Ciotti convinto di doversi dare all’eroina per poter fondare e animare il Gruppo Abele? Perché, allora mi chiedo, i sacerdoti che svolgono il ministero pastorale con le nostre sorelle e i nostri fratelli militari entrano nei ranghi delle forze armate? Dove va a finire il loro potenziale critico e profetico, se assumono l’infausta condizione di coloro ai quali dovrebbero anzitutto insegnare, alla luce della nonviolenza di Gesù, che la divisa e le armi vanno appese immediatamente e definitivamente al chiodo? Proprio come la siringa. Perché la guerra è la droga dei potenti: di essa si inebriano e si esaltano, con essa perseguono e mantengono i loro deliranti privilegi, ma a causa di essa, poi, finiscono miseramente nella polvere.

 In fondo la questione è tutta qui. Ribadire con coraggio che gli eserciti sono nati per fare le guerre e non la pace e che la violenza è l’elemento caratterizzante la loro ragion d’essere. E questa cruda e tremenda realtà non può essere certo annullata o nascosta cambiando nome alle guerre, chiamandole “missioni di pace”, per renderle più accettabili all’opinione pubblica e per sottrarle goffamente alla condanna della nostra Costituzione. E non basta neppure affidare alle forze armate compiti di protezione civile, per esibire un volto che non hanno e una speranza che non possono né offrire né costruire. Talora nutro il dubbio che in Italia si mantenga una Protezione Civile debole, proprio per dare la possibilità ai militari di beneficiare d’una pennellata di utilità sociale. Auguro al popolo di questo Paese che sia solo un pensiero esageratamente sospettoso.

 E’ ora, fratello Vescovo, di dire una parola chiara: non si può servire Dio e la guerra. O l’uno o l’altra. Lei ed i suoi cappellani, purtroppo, a causa del doppio status di pastori e militari, mi sembra che di fatto stiate confondendo due realtà inconciliabili. E’ ora, invece, di dire la verità a quei giovani i quali, pur di sfuggire alla disoccupazione nella quale vengono mantenuti da uno Stato incapace, si affacciano all’idea di entrare nelle forze armate: la loro attività non avrà nulla a che vedere con la vera pace, e l’orrore delle armi e della violenza -falsificato da chi è interessato al grande affare della guerra- sarà il loro pane quotidiano.

 Concludo ritornando al punto di partenza: papa Giovanni XXIII. E’ pur vero che in gioventù egli ha conosciuto la vita militare e la guerra, ed è stato cappellano militare, ma ciò non basta, a mio avviso, a giustificare la scelta di farne il Patrono dell’Esercito! Al contrario, voglio immaginare che proprio il raccapriccio in diretta di tante inutili stragi lo abbia portato poi, decenni dopo, a promulgare quella lettera enciclica, la Pacem in Terris, che ancora oggi è un canto di pace inascoltato. E’ proprio lì che si legge –i cappellani militari dovrebbero insegnarlo nelle loro omelie e catechesi- che “Quare aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda”. Nell’era atomica, ritenere che la guerra possa ristabilire i diritti violati alienum est a ratione, è cosa estranea alla ragione. Follia pura. La difesa nonviolenta, civile e disarmata, è molto più sensata e coraggiosa di quella militare armata; essa sta dando concretezza agli aneliti di libertà e riconciliazione ai quattro angoli del mondo, nonostante una cortina di silenzio gravi su di essa. In Italia la legge 230 del 1998 (art. 8) impegna lo Stato ad attuare “forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta”: perché i cappellani militari non chiedono a gran voce che cessino le scandalose spese per le armi e si diano ad essa rilievo e risorse? Questo grido sì che si porrebbe sulla scia di Colui che, senza ambiguità, disse a Pietro che voleva difenderlo: “Rimetti la spada nel fodero!” (Gv 18,11).

 E’ ora che la "Chiesa militare” chiuda i battenti e si spalanchino le porte della "Chiesa nonviolenta”, da annunciare a tutti. Militari compresi.

 Con un abbraccio fraterno e sincero ed un vivo ringraziamento per l'attenzione.

 Napoli, 26 ottobre 2011

 Antonio Lombardi