Vorrei partire da una considerazione dell’avvocato Ciruzzi, Presidente della Camera Penale di Napoli, che in una intervista che mi ha rilasciato poco tempo fa, ha analizzato quel meccanismo da lui definito come “scorciatoia del consenso” o anche “uso improprio del diritto penale”, cioè quel modus operandi tramite il quale la politica strumentalizza e criminalizza alcuni settori della società per creare una sicurezza illusoria, individuando il nemico di turno da combattere. E’ in sintonia con questa idea?
Lui la chiama uso
improprio del diritto penale, in realtà la questione
è squisitamente politica. Nella storia dell’umanità
l’uso delle paure, di certe insicurezze,
l’esasperazione di alcune cose è sempre stato
abituale da parte del potere, da parte dei dominanti
proprio per creare consenso. La costruzione e la
riproduzione del nemico di turno è sempre stata
essenziale al potere per creare consenso e coesione
sociale. Come si spiega tutto ciò? Si spiega con
l’analisi che ci dice che, a partire soprattutto
dagli anni ’80, c’è stato un processo di
destrutturazione provocato dalla cosiddetta
rivoluzione liberista, insieme all’erosione del
welfare, che hanno creato incertezze ed insicurezze
nel cittadino. Il potere cosa fa? Per occultare le
vere ragioni di queste paure (disoccupazione,
precarietà, mancanza di reddito) attribuisce tutti i
malesseri sociali alla criminalità ed in particolare
ad una criminalità che sarebbe stata prodotta da
immigrati, dai rom, dagli emarginati ed ovviamente,
dopo gli attentati alle Torri Gemelle, al terrorismo
internazionale. Anche i media, che sono gli
altoparlati del potere, amplificano queste
insicurezze, contribuendo a costruire il nemico di
turno. Tutto ciò ha permesso l’occultamento di tutte
le vere insicurezze, quelle che io chiamo le
“insicurezze ignorate”, che si sono sempre di più
aggravate e che sono diventate una catastrofe. In
Italia, per esempio, si moltiplicano sempre di più i
disastri ambientali, i disastri sanitari, esiste un
elevato tasso di mortalità a causa del cancro di cui
quasi nessuno parla, per non citare poi le
tantissime economie sommerse che sono direttamente
collegate al problema dell’evasione fiscale. Dal
1990 ad oggi destra e sinistra hanno esasperato
queste paure e nessuno invece ha parlato seriamente
delle “insicurezze ignorate”.
L’uso ma soprattutto l’abuso di questi allarmi, di
queste paure ha un nome molto chiaro, possiamo
infatti definirle come armi di distrazione di massa.
Tutto ciò comporta anche che la gran parte dei
poliziotti, come anche altri corpi di polizia, sono
stati istigati ad assumere comportamenti diciamo
muscolosi nei confronti di questi ipotetici nemici.
Collegandomi a questo ultimo passaggio, cioè quello del comportamento muscoloso della polizia, lei ha definito questo tipo di atteggiamento già ai tempi del G8 di Genova del 2001 come una “gestione violenta del disordine”. Ci spiega questa sua osservazione.
La polizia storicamente nasce in alternativa all’esercito, che è addestrato alla guerra, in primis a sparare contro il nemico. La polizia, in uno Stato democratico, nasce e si sviluppa per svolgere una pratica che è prima di tutto di separazione di quelle categorie che venivano chiamate nel IXX sec. classi laboriose e classi pericolose, cioè individuare i delinquenti e coloro che hanno bisogno di tutela. Il poliziotto, ma soprattutto il dirigente di polizia, dovrebbe essere dotato di questa capacità di discernimento e quindi di selezione. Ora, la polizia ha gestito storicamente il disordine alternando il bastone e la carota e nei periodi di gestione pacifica prevaleva sempre il compromesso, un compromesso quasi tacito del disordine. Quando invece prevale la gestione violenta non si concede nessuno spazio, nessuna via di fuga, nessuna possibilità di negoziazione pacifica. Quello che è successo prima Napoli con il Global Forum e poi a Genova durante il G8 ne sono l’esempio lampante, ma ciò accade in tutto il mondo non solo da noi. In questi casi, inevitabilmente, c’è la scheggia impazzita, ma non la mela marcia attenzione. La scheggia impazzita esiste ed è tipica di quelle situazioni in cui può avere più spazio, in cui è favorito, ha più libertà di scatenarsi in maniera violenta, soprattutto in una piazza come quella di Genova dove le comunicazioni tra reparti erano state interrotte, così come a Milano nel lontano 1994.
Le schegge impazzite di cui lei parla sono proprio tutti quegli agenti che hanno commesso un abuso di potere in servizio. Pensiamo ai casi di Michele Ferrulli, di Giuseppe Uva, di Stefano Brunetti, fino a forse i due casi più conosciuti, cioè le morti di Cucchi ed Aldrovandi. Nella maggior parte di questi casi, tutti gli agenti coinvolti sono riusciti a cavarsela con pene lievi o addirittura sono stati scagionati dai processi in cui erano coinvolti per questi episodi. A ciò si aggiungono le coperture di Questure e dei colleghi, il non allontanamento dal servizio e addirittura il ritorno in servizio di tre dei quattro agenti condannati in tutti i gradi di giudizio che hanno ucciso il giovane Aldrovandi. In questo quadro così drammatico, il cittadino come può avere fiducia?
Tutto ciò non è novità, si può dire che in passato era ancora peggio. La questione è molto semplice, può lo Stato processare se stesso? Chi è lo Stato? Le Istituzioni, ma anche le polizie e la magistratura. Perché mai lo Stato dovrebbe ammettere i suoi abusi? In Italia è ancora peggio che negli altri paesi perché all’estero esistono dei meccanismi, dei dispositivi che anche se apparentemente individuano il capo espiatorio, cioè per fino l’America di Bush ha condannato i responsabili di Abu Ghraib, seppur solo alcuni. Perché in Italia non succede questo? Perché la tragedia qui è che, nonostante abbiamo una delle Costituzioni più avanzate del mondo, purtroppo i principi di questa Costituzione non si sono mai tradotti in precisi meccanismi, dispositivi e pratiche di governo democratico e soprattutto non c’è mai stato un vero controllo politico delle forze di polizia. Paradossalmente c’è stato un controllo politico sulle forze armate, ma sulle forze di polizia non c’è mai stata attenzione, anzi. Tutta la classe politica italiana come gestiva gli affari di polizia? Come affari riservati di cui non si discuteva mai in pubblico e mai è stata prevista l’istituzione, per esempio, di un’autorità indipendente che controllasse l’operato della polizia. Mai è stato previsto il monitoraggio di tutti i casi di corruzione, abusi, crimini commessi da operatori delle forze di polizia. Se noi avessimo la possibilità di studiare attentamente tutti questi casi, la stessa Istituzione ne uscirebbe rafforzata e ne uscirebbe un’immagine più credibile agli occhi del cittadino qualsiasi. Sarebbe una prova di trasparenza, di democrazia, utile a correggere le derive anti democratiche che ci sono sempre state e ci saranno sempre comunque in una caserma, in un commissariato perché è una questione di pratiche, non esiste infatti quotidianamente una pratica comune che contrasti queste tendenze autoritarie e violente.
Proprio sulla questione pratiche, il vice capo della polizia, il dott. Marangoni è responsabile della “commissione per le buone pratiche”, struttura che ha il compito di studiare un regolamento operativo a garanzia sia dei poliziotti che dei cittadini. Ha qualche suggerimento?
Le commissioni o gli esperti di cui si è sempre avvalsa la polizia, ma anche tutte le strutture dell’apparato statale, sono sempre state commissioni di persone compiacenti, di professionisti che hanno una riverenza nei confronti dei vertici di queste autorità. Francamente se qualcuno volesse essere veramente utile ad una istituzione di uno Stato democratico dovrebbe avere il coraggio e la franchezza di esercitare la parresia di Socrate, cioè la critica al potere con franchezza, dire la verità al potere. Solo questo aiuterebbe a correggere le storture e le derive degenerative. Pensiamo all’alta formazione nelle scuole di polizia, che è un argomento poco conosciuto in Italia. Perché la formazione del personale di polizia, ma anche quella dei dipendenti della pubblica amministrazione, non si fa nelle università pubbliche? Gli agenti svolgerebbero parte della loro formazione insieme ai cittadini e questo li porterebbe a confrontarsi non con un mondo chiuso, con una corporazione che alimenta e giustifica lo spirito di corpo. Il prefetto Marangoni, il capo della Polizia, tutti i Ministri possono dire quello che vogliono ma fin quando non si farà ricorso a delle autorità indipendenti poco cambierà ed è ovvio che non chiederanno mai a me di andare a fare l’alta formazione. Siamo in un mondo di gente che non è abituata al confronto alla critiche.
Riguardo al numero identificativo sulle divise degli agenti in servizio si è molto discusso ed è, forse, quasi impossibile che venga introdotto in Italia. Secondo lei perché?
Chi si oppone oggi a questo strumento dovrebbe spiegare il perché i loro colleghi all’estero l’hanno accettato. Gli chiederei solo questo. Perché negli altri paesi è stato accettato e nessuno lo mette in discussione? Sono masochisti? La questione è che qui siamo ancora legati ad una tradizione che risale all’eredità fascista, non si può negare la trasparenza. Io sono feroce su questo punto perché non c’è nessuna giustificazione. In nessun altro paese è così, nessuno oserebbe dire in Inghilterra, per esempio, che il numero identificativo non è accettabile. Bisogna anche dire però che non è il numero identificativo che cambierà il mondo e i corpi di polizia. Ci sono urgenze maggiori.
Una di queste urgenze potrebbe essere una legge sulla tortura, che in Italia ancora manca?
Esatto, lo reputo
ancora più importante ed urgente del numero
identificativo.
Se chiedi alla gran parte dei parlamentari italiani
non sa come funziona la polizia di Stato, non hanno
cognizione di cosa significhi il reato di tortura o
addirittura del codice deontologico della polizia
che è stato approvato dal Consiglio dei Ministri
Europei nel 2001, cioè tredici anni fa. Perché in
Italia ancora non è pratica, ancora non è legge?
Perché in Italia non è stata adottata nessuna
direttiva a riguardo? Qui le responsabilità enormi
sono della sinistra, dei cosiddetti democratici.
Sono passati tredici anni e mai a nessuno gli è
venuto in mente di procedere a riguardo?
Se noi dovessimo fare un confronto, lo dovremmo fare
con tutti quelli che hanno avuto una dittatura
fascista tra le due guerre quindi la Germania, la
Grecia, la Spagna ed il Portogallo. Prendiamo questi
casi. Perché in Germania si è fatto un vero processo
di democratizzazione? Perché veramente si sono
ripuliti dal nazismo, sia nel pubblico che nel
privato? Eliminare i residui, le complicità, le
connivenze con il nazismo è stato fondamentale. Da
noi l’epurazione, quella seria, non c’è stata, siamo
stati quaranta anni democristiani, adesso siamo post
democristiani, la sinistra si è convertita al
liberismo. Anche in Spagna, dove la fine del
franchismo è più recente, c’è stata una
democratizzazione maggiore rispetto all’Italia. Ciò
non significa certo che nella polizia spagnola non
ci siano casi di violenza, anzi, ci sono in tutte le
polizie del mondo. Il morto può scappare sempre in
uno scontro di piazza, in ogni piazza del mondo, ma
una cosa è che si verifichi un incidente, un’altra
cosa è che c’è invece un preciso orientamento per la
gestione violenta del disordine. Quando tu Stato non
hai né punito né sospeso, addirittura eliminato,
persone che hanno ammazzato il giovane Aldrovandi,
piuttosto che altri, che messaggio lanci? Un preciso
messaggio di legittimità di questi comportamenti. Tu
agente puoi fare quello che vuoi, tanto poi sarai
coperto.
Una responsabilità gravissima ce l’hanno anche tutti
i sindacati di polizia. Perché il 99% dei poliziotti
si iscrive ad un sindacato? Sono tre le ragioni. Uno
è per avere le spalle coperte, perché sempre puoi
avere qualche problema. La seconda cosa è per avere
favori. L’ultima è per avere qualche possibilità in
più rispetto a chi non è protetto da nessuno. I
sindacati hanno una responsabilità enorme.