Invasione di droni nei cieli della Sicilia


 di ANTONIO MAZZEO

Droni, droni e ancora droni. Sarà intensissimo, in estate, il via vai di aerei militari senza pilota sui cieli siciliani. Decine di decolli ed atterraggi nella base USA e NATO di Sigonella che faranno impazzire il traffico aereo nel vicino scalo civile di Catania Fontanarossa. Grandi aerei spia del tipo Global Hawk e i Predator e i Reaper carichi di bombe e missili che sorvoleranno l’isola e solcheranno i mari, pregiudicando la sicurezza dei voli e delle popolazioni.

Le notificazioni ai piloti di aeromobili (NOTAM) emesse lo scorso 4 giugno lasciano presagire tragici scenari di guerra in Siria e nell’intero scacchiere mediterraneo e mediorientale. Tre riguardano lo scalo di Fontanarossa e sono distinti dai codici B4048, B4049 e B4050. Impongono la sospensione delle procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aerei, tutti i giorni sino al prossimo 1 settembre, “causa attività degli Unmanned Aircraft”, i famigerati aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e italiane. “Le restrizioni sopra menzionate verranno applicate su basi tattiche dall’aeroporto di Catania”, specificano i NOTAM. Che le operazioni dei droni riguardino la stazione aeronavale di Sigonella, lo si apprende da un altro avviso, codice M3066/12, che ordina la sospensione di tutte le strumentazioni standard al decollo e all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, “per l’attività di Unmanned Aircraft militari”. Il grande scalo delle forze USA e NATO subirà inoltre “restrizioni al traffico aereo”, nei giorni 19 e 20 giugno, per una vasta esercitazione aeronavale nel Mediterraneo. Gli ennesimi giochi di guerra alleati che potrebbero annunciare l’attacco finale al regime di Assad.

“Quelle oggetto nei NOTAM relativi all’aeroporto di Catania, sono di aerei militari senza pilota italiani o americani a Sigonella?”, chiede l’Associazione Antimafie “Rita Atria” che per prima ha rilevato l’intensissima attività dei droni in Sicilia. “L’Amministrazione Obama usa questi velivoli anche per uccidere presunti terroristi e in queste missioni ci sono sempre i cosiddetti effetti collaterali: uccisioni di bambini, donne e uomini innocenti civili. Conta ancora qualcosa la volontà popolare in Italia? Noi non abbiamo dato mandato a nessuno in Parlamento di autorizzare gli aerei senza pilota a fare quello che vogliono in occasione di guerre come quella in Libia e in Afghanistan, volando nel nostro spazio aereo e ponendo gravi limitazioni al traffico aereo civile. Per questo dobbiamo mobilitarci contro i droni, per smilitarizzare i nostri territori e riprenderci la nostra sovranità che ci hanno dato i Padri Costituenti”.

“Con la trasformazione di Sigonella in capitale mondiale degli aerei senza pilota e l’installazione a Niscemi del terminale terrestre del MUOS, il nuovo sistema satellitare della marina militare USA, la Sicilia diviene l’epicentro delle guerre globali e permanenti del XXI secolo”, commenta Alfonso Di Stefano della Campagna per la smilitarizzazione. “Attualmente sono schierati a Sigonella due o tre Global Hawk dell’US Air Force. Entro il 2015, però, diverranno operativi l’AGS, il sistema di sorveglianza terrestre della NATO e il Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) di US Navy e i grandi aerei-spia saranno più di una ventina. Che ne sarà allora del traffico aereo civile nell’isola che già oggi è pesantemente limitato dalle spericolate operazioni belliche dei droni italiani e stranieri?”.

Due anni fa, l’Aeronautica militare e l’ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) siglarono un accordo tecnico per l’attività di aeronavigazione nello spazio aereo italiano dei Global Hawk schierati a Sigonella nell’ambito dell’accordo Italia-Stati Uniti del 2008. Senza attendere una normativa europea che disciplini in via definitiva l’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo generale, l’accordo ha consentito l’impiego dei droni nell’ambito di spazi aerei “determinati” e con l’adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e militari “tese a limitare al massimo l’impatto sulle attività aeree civili”. All’Aeronautica militare è stata attribuita la “predisposizione degli spazi aerei necessari all’impiego operativo ed addestrativo dei velivoli militari a pilotaggio remoto”, mentre l’Enac dovrebbe curare in coordinamento con l’Enav (ente nazionale per l’assistenza al volo) gli aspetti di gestione e controllo del traffico aereo generale.

Il testo del documento è simile a quello che era stato siglato nel novembre 2008 per le operazioni di volo dei Predator in dotazione al 32° Stormo Ami di Amendola (Foggia), utilizzati nella guerra in Afghanistan e più recentemente in Libia. Secondo gli accordi, i profili delle missioni, le procedure operative, le aree di lavoro e gli equipaggiamenti, dovrebbero essere stabiliti “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se è poi precisato che in caso di “operazioni connesse a situazioni di crisi o di conflitto armato” l’impiego dei droni non può essere sottoposto a limitazioni di alcun genere. E questo nonostante i velivoli telecomandati rappresentino un rischio insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio.

“Effettivamente il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante per poter essere ottimisti sui tempi di integrazione di questi sistemi nello spazio aereo nazionale”, ammette il maggiore dell’aeronautica Luigi Caravita in una recente ricerca sui droni pubblicata per il Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). “Da fonti ufficiali si apprende che nelle prime 100.000 ore di volo il tasso d’incidente del MQ-1 Predator ammontava a 28, oltre il doppio del cacciabombardiere F16. Altri sistemi a pilotaggio remoto come il Pioneer, l’Hunter e l’RQ-7 Shadow hanno invece un rateo di incidenti di almeno uno-due ordini di grandezza superiore”.

“La mancanza di una capacità matura di sense & avoid (senti ed evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di volo: in più di un occasione un Predator è stato perso a seguito d’interruzione del data link”, aggiunge il maggiore  Caravita. “Ad oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati sufficientemente affidabili, non sono dotati di una tecnologia sense & avoid matura, non hanno ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di cyber warfare”.

Analoghe considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la visione strategica sull’utilizzo di questi sistemi di guerra (The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). “I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”, scrivono i militari USA. “Il rischio d’incidente del Predator e del Global Hawk è d’intensità maggiore di quello dei velivoli con pilota dell’US Air Force, anche se al di sotto dei parametri stabiliti nei documenti di previsione operativa per questi sistemi”.

In verità, gli incidenti che vedono protagonisti gli aerei senza pilota stanno crescendo in numero e gravità. In particolare si annoverano due collisioni nei cieli dell’Afghanistan, la prima nel 2004 tra un drone ed un Airbus 320 e più recentemente (agosto 2011) tra un aereo da trasporto militare C130 statunitense ed un RQ-7 Shadow. I Predator e i Reaper sembrano avere una certa predisposizione a perdere il controllo e precipitare rovinosamente al suolo o nei mari. E precipitano pure i Global Hawk: nel marzo 1999 un velivolo dell’US Air Force si è schiantato in California da un’altitudine di 12.500 metri dopo aver ricevuto un segnale spurio di “termine missione” dalla base aerea di Nellis. Ieri 11 giugno, è toccato a un dimostratore BAMS di US Navy ad essere inghiottito dalle acque del Nanticoke River, vicino l’isola di Bloodsworth, Maryland. Il velivolo, una versione modificata del Global Hawk RQ-4 operativo con l’aeronautica militare, era stato schierato nella stazione aeronavale di Patuxent River, nell’ambito del cosiddetto programma di sviluppo Broad Area Maritime Surveillance che prevede il trasferimento a breve di cinque aerei UAV di US Navy nella base di Sigonella.

Guerra ai siciliani con i droni di Sigonella

 di ANTONIO MAZZEO

Un carosello in cielo, giù c’è Catania, il blu dello Ionio, l’Etna nera con il cocuzzolo perennemente innevato. Due, cinque, otto, dieci interminabili minuti, l’aereo che oscilla, vibra, scende, risale. E il cuore che accelera. Paura di volare? Mai. Ma perché ci sta tanto ad atterrare? E che cavolo! ogni volta la stessa storia. Arrivi in orario ma poi ti fanno girare per mezz’ora su Fontanarossa. E sudi freddo, senti una strana pressione sullo stomaco. Quasi sempre non ti dicono nulla. Non ti spiegano perché. Domenica all’una invece, sul Pisa-Catania, il comandante annuncia che straremo in aria un po’ sino a quando la torre di controllo non ci autorizzerà all’atterraggio. C’è un intenso traffico aereo militare sullo scalo di Sigonella.

Cazzo, ‘sti americani giocano alla guerra perfino all’ora di pranzo e nel giorno del Signore, sdrammatizza il vicino di poltrona già superabbronzato. Beh, sempre meglio di quanto è accaduto a mio zio la scorsa estate. Veniva da Venezia e gli hanno dirottato all’ultimo l’aereo a Punta Raisi. Allora c’erano i war games degli yankees e della NATO, gli ultimi fuochi sulla Libia da liberare. Le spregiudicate manovre dei famigerati aerei senza pilota, gli UAV-spia Global Hawk e i Predator stracarichi di missili e bombe a guida laser.

Da due anni il terzo aeroporto d’Italia come volume di traffico, oltre sei milioni e mezzo di passeggeri l’anno, è asservito alla dronomania della Marina e dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti d’America. Atterraggi e decolli ritardati, le attività sospese in pista e nelle piattaforme, timetable che per effetto domino impazziscono in tutto il Continente, gli imprevisti e faticosi dirottamenti su Palermo. Volare da o su Catania vuol dire disagi che si sommano ai disagi, nuovi pericoli che si aggiungono a quelli vecchi. In futuro sarà peggio. Entro il 2015, la grande stazione aeronavale di Sigonella sarà consacrata capitale mondiale degli aerei senza pilota e ospiterà sino a venti Global Hawk e sciami di droni d’attacco e di morte. E Fontanarossa sarà soffocata, imprigionata, asservita alla guerra.

“Sì, il traffico civile subisce certe riduzioni e interferenze per l’attività militare del vicino scalo di Sigonella”, ammette Gaetano Mancini, presidente della Sac, la società che gestisce l’aeroporto etneo. “Tutto però è sotto controllo e mai ci sono stati problemi per la sicurezza dei passeggeri. Negli ultimi mesi la situazione si è poi fatta sicuramente meno pesante”. L’ordine di scuderia è tranquillizzare ed evitare allarmismi. Eppure dall’8 marzo di quest’anno a Fontanarossa sono state sospese tutte le procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aeromobili, “causa attività degli Unmanned Aircraft”, gli aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e alleate, come specificato da una nota ai piloti di aeromobili (NOTAM) emessa dalle autorità preposte al controllo del traffico. Le limitazioni dovevano durare sino allo scorso 5 giugno, ma un giorno prima della scadenza dei termini, tre NOTAM distinti dai codici B4048, B4049 e B4050 hanno prorogato la sospensione delle procedure standard sino al prossimo 1 settembre. Anche stavolta il transito dei voli civili, in piena stagione estiva, sarà subordinato alle evoluzioni dei droni. Semaforo giallo anche per i cacciabombardieri e gli aerei radar e da trasporto uomini e mezzi delle forze armate. Un altro avviso, codice M3066/12, ha ordinato infatti la sospensione di tutte le strumentazioni standard al decollo e all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all’1 settembre 2012, anche stavolta per le attività degli Unmanned Aircraft.

La Sicilia trampolino bellico si trasforma in laboratorio sperimentale del piano di iper-liberalizzare lo spazio aereo alle scorribande degli aerei senza pilota. La sicurezza delle popolazioni e dei passeggeri sacrificata all’altare degli interessi economici del complesso militare industriale USA. In Europa e aldilà dell’Atlantico, governi e organismi internazionali sembrano impotenti di fronte all’intollerabile pressing dei produttori di droni. Il business è enorme: secondo gli analisti economici, nei prossimi dieci anni la spesa annua per i sistemi senza pilota crescerà da 6,6 ad 11,4 miliardi di dollari e ci sarà pure un’ampia espansione anche in ambito civile. Solo in riferimento alla tipologia degli UAV ospitati pure a Sigonella (gli RQ-4 Global Hawk, gli MQ-9 Reaper e gli MQ-1 Predator), il Pentagono vuole portarli dagli attuali 340 a 650 nel 2021. Ognuno di essi ha costi insostenibili. Ogni falco globale di US Air Force, quello più vecchio, costa 50 milioni di dollari (in Sicilia ce ne saranno presto cinque). Gli altri cinque UAV previsti per Sigonella con il programma Allied Ground Surveillance (AGS) di sorveglianza terrestre della NATO, costeranno complessivamente 1,7 miliardi di dollari. Spesa record di 233 milioni a drone per la versione Global Hawk acquistata dalla Marina USA nell’ambito del programma Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) che vedrà ancora la Sicilia piattaforma avanzata per i raid in Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico.

Due anni fa, senza che sia stato ancora disciplinato l’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo europeo, l’Aeronautica militare e l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) hanno siglato un accordo tecnico per consentire l’impiego dei Global Hawk di Sigonella nell’ambito di spazi aerei “determinati” (terminologia del tutto nuova rispetto a quella in uso nei NOTAM dove gli spazi sono proibiti, pericolosi o limitati). In linea teorica si annuncia l’adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e militari “tese a limitare al massimo l’impatto sulle attività aeree civili” e “nel rispetto dei principi della sicurezza del volo”, anche se poi si ammette che per le operazioni “connesse a situazioni di crisi o di conflitto armato”, l’impiego dei droni non sarà sottoposto a limitazioni di alcun genere. Nel Mediterraneo cronicamente in fiamme è come dare illimitata libertà di azione ai falchi globali e ai predatori del cielo e del mare.

“I velivoli telecomandati rappresentano un rischio insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio”, denunciano gli attivisti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. “Negli Stati Uniti d’America il tasso degli incidenti agli aerei senza pilota è nettamente superiore a quello dell’aviazione generale e di quella commerciale, come più volte sottolineato dalla Federal Aviation Administration, l’amministrazione responsabile per la gestione delle attività nello spazio aereo nazionale”. Il 15 luglio 2010, durante un’audizione alla Commissione per la sicurezza pubblica interna del Congresso, la vicepresidente della FAA ha espresso forti perplessità su una “rapida e piena integrazione” dei sistemi senza pilota nel traffico aereo generale, così come auspicato dal Pentagono e dal presidente Obama. “Molti dei dati a nostra disposizione arrivano solo dalla Customs and Border Protecion (CPB) che pattuglia i nostri confini”, spiega la Federal Aviation Administration. “Essi ci rivelano che i ratei di incidenti degli UAS sono molto grandi. Dall’anno fiscale 2006 alla data del 13 luglio 2010, ad esempio, la CPB ha riferito un tasso incidentale grave di 52,7 ogni 100.000 ore di volo, cioè oltre sette volte più alto di quello dell’aviazione generale e 353 volte più elevato di quello dell’aviazione commerciale. Non si deve poi dimenticare che il numero di ore di volo denunciato, 5.688, è molto basso rispetto a quello che viene solitamente considerato in aviazione per fissare i dati sulla sicurezza e gli incidenti…”.

Un recentissimo report di Bloomberg, la maggiore società statunitense di analisi del mercato economico e finanziario, ha messo il dito nella piaga droni. Da quando sono operativi con US Air Force, Global Hawk, Preador e Reaper hanno subito 129 incidenti in cui i danni hanno comportato una spesa superiore ai 500.000 dollari o è avvenuta la distruzione del velivolo in missione. “Questi tre tipi di UAV sono quelli con il maggior tasso d’incidente di tutta la flotta aerea militare”, scrive Bloomberg. “Insieme hanno cumulato 9,31 incidenti ogni 100.000 ore di volo, tre volte in più degli aerei con pilota”. Il Global Hawk, da solo, ha un tasso di 15,16.

“Effettivamente il rateo d’incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante”, ammette il maggiore dell’aeronautica, Luigi Caravita, autore di un approfondito studio sui droni pubblicato dal Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). “La mancanza di una capacità matura di sense & avoid (senti ed evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di volo: in più di un occasione un Predator è stato perso a seguito d’interruzione del data link”, spiega il maggiore. “Ad oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati sufficientemente affidabili, non hanno ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di cyber warfare”.

Analoghe considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la visione strategica sull’utilizzo di questi sistemi di guerra (The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). “I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”, scrivono i militari statunitensi. Per questo Eurocontrol, l’organizzazione per la sicurezza del traffico aereo a cui aderiscono 38 stati europei, ha stabilito nel marzo 2010 alcune linee guida per la gestione del traffico aereo dei falchi globali destinati allo scacchiere continentale. In particolare, si raccomanda d’isolare i droni-spia da altri usuari dello spazio aereo. “Dato che i Global Hawk non possiedono certe capacità, come il sense and avoid, è necessario che i decolli e gli atterraggi avvengano in spazi aerei segregati dai livelli normalmente utilizzati dai convenzionali aerei con pilota, mentre le missioni di crociera dovranno essere effettuate ad altitudini non occupate da essi”. Nel caso di Catania-Fontanarossa, scalo a meno di una decina di km in linea d’aria da Sigonella, le raccomandazioni di Eurocontrol sono solo carta straccia.

Sulle scellerate scelte USA e NATO d’installare i Global Hawk in Sicilia è intervenuto uno dei massimi esperti dell’aviazione italiana, il comandante Renzo Dentesano, pilota per quarant’anni dell’Aeronautica ed Alitalia, poi consulente del Registro aeronautico e perito per diverse Procure nei procedimenti relativi ad incidenti aerei. “Questi aeromobili militari saranno in grado di partire e tornare alla base siciliana dopo aver compiuto missioni segrete e pericolose, delle quali nessuno deve saper nulla, onde poter effettuare con successo i loro compiti di sorveglianza e spionaggio”, scrive Dentesano. “È pur vero che nei loro piani d’impiego è previsto che il Comando che li utilizzerà abbia tutte le informazioni necessarie in merito al traffico che interessa lo spazio aereo nelle loro traiettorie, invece, le autorità civili non sapranno nulla di quanto programmato e qualche Controllore avvisterà sugli schermi radar del traffico che sarà etichettato come sconosciuto, del quale quindi ignoreranno sia le intenzioni che le manovre e le traiettorie”.

“Questo tipo di ricognitori, concepiti appunto per missioni troppo rischiose per essere affidate a mezzi con a bordo degli esseri umani, nonostante tutte le misure di security di cui sono dotati i loro ricevitori di bordo, possono essere interferiti da segnali elettronici capaci di penetrare nei loro sistemi di guida e controllo, in modo da causarne la distruzione”, aggiunge Dentesano. “Il Global Hawk, come pure il Predator, non risultano in grado di assicurare l’incolumità del traffico aereo civile. Essi non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in senso verticale, salendo o scendendo di quota, come la situazione per evitare una collisione prontamente richiederebbe. E la sola variazione della direzione di moto, rimanendo alla stessa altitudine, potrebbe non bastare ad evitare un disastro che coinvolga un traffico civile”.

L’allarme è stato lanciato da tempo ma Governo, Regione ed enti locali non vedono, non sentono, non parlano. Il DC 9 abbattuto da un missile nel cielo di Ustica, il 27 giugno di 32 anni fa, è un ricordo sbiadito. Con i droni liberi di planare sulle teste dei siciliani è scattato il count down per l’ennesima strage di stato.


Articolo pubblicato in I Siciliani giovani, n. 6, giugno 2012
 

 

Antonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, impegnato in progetti di cooperazione allo sviluppo, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. È membro della Campagna per la smilitarizzazione della base di Sigonella. Nel 2010 ha ricevuto il Premio “Giorgio Bassani” di Italia Nostra per il giornalismo. Saggi e inchieste sono consultabili in http://antoniomazzeoblog.blogspot.com.