Libia affare italiano ma con bandiera Onu   

Renzi va alla guerra?        ’

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Stati Uniti, Francia e Regno Unito, registi della caduta del Colonnello, hanno abbandonato Tripoli. E l'Italia?

Gli sforzi diplomatici occidentali non sono serviti a frenare l’avanzata delle milizie islamiste a Tripoli e Bengasi. Gentiloni: ‘Se l’Onu lo chiede pronti a un intervento in Libia verso nuove elezioni’. Soltanto una ipotesi da chiacchiera ministeriale? L’Italia nel Mediterraneo oltre i migranti

Modi si dire molto americano: ‘Mai mettere gli stivali sul terreno prima di avere una soluzione politica da sostenere’. Il piglio del neo ministro degli esteri Paolo Gentiloni non è certo da Cow Boy ma le idee sembrano chiare: ‘Un intervento di peacekeeping, rigorosamente sotto l’egida Onu, vedrebbe l’Italia impegnata in prima fila. Purché preceduto dall’avvio di un percorso negoziale verso nuove elezioni garantito da un governo di saggi’. Se ha dovuto improvvisarsi, Gentiloni pare aver studiato bene la lezione Esteri: Libia e Daesh islamisti, Teheran nucleare, Israele e le tentazioni forcaiole interne.

 

Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni

 In Libia intanto si continua a confrontarsi a fucilate. Di fatto siamo al fallimento dello Stato libico. Sappiamo che la Corte Suprema libica ha invalidato le elezioni legislative del 25 giugno sciogliendo il parlamento e il governo laico scelto dal popolo. E ora? I premier di una parte, Abdullah Al Thinni, per fermare l’avanzata delle milizie islamiste a Bengasi e Tripoli, ha dovuto concedere carta bianca a un alleato scomodo come il generale Khalifa Haftar, descritto come uomo Cia, pur dubitando della sua lealtà. In Libia è ancora il seguito dalla guerra civile che ha portato all’uccisione di Gheddafi.

 In Libia i tempi per la democrazia paiono lontani. Profonde spaccature politiche e tribali, kabile, la instabilità istituzionale, doppi parlamenti e doppi governi a contendersi il potere per mesi: quello legittimamente eletto il 25 giugno scorso, a maggioranza laica e guidato da Al Thinni, confinato a Tobruk, vicino al confine egiziano, e ora esautorato. L’altro nella capitale Tripoli, espressione delle fazioni islamiste e il cui premier è Omar al-Hassi. Ovvia fragilità militare. Campagna antiterrorismo delgenerale Hafthar non risolutiva e raid aerei esterni condotti dai caccia di Egitto ed Emirati Arabi.

 Guerra diffusa su tutto il territorio, dalla Cirenaica alla Tripolitania, con la complicità ormai certa di governi e finanziatori esteri come Sudan e Qatar. Ansar Al Sharia a Bengasi e la coalizione Alba Libica a Tripoli -il terrorismo di matrice islamista- hanno stretto in una morsa il governo, forti dell’ alleanza con lo Stato Islamico annunciata in ottobre a Derna. Lo stesso Califfo ha fatto sentire la sua vicinanza agli jihadisti, invitando i miliziani di Tunisia e Algeria a raggiungere il Paese, oltre a sollecitare l’appoggio ad Ansar Al Sharia delle tribù berbere che controllano la regione meridionale del Fezzan.

 

 Almeno due i motivi che dovrebbero spingere le potenze euro-atlantiche ad aiutare la Libia. Primo, gli interessi energetici e al controllo di larga parte dei giacimenti e dei terminal presenti in territorio libico. Secondo, il problema dei migranti che dall’Africa subsahariana salgono fino alle coste libiche per poi affrontare la traversata del Mediterraneo. Stati Uniti, Francia e Regno Unito, i registi della caduta di Gheddafi, ora hanno abbandonato Tripoli dirottando i loro interessi nella guerra contro lo Stato Islamico. L’Italia si è accodata con l’inganno dei ‘Tornado-ricognitori’. Sani ripensamenti in vista.