Mare Monstrum, guerra ai
migranti nel Mediterraneo
di ANTONIO MAZZEO
Guerra ai Migranti e alle Migrazioni
Un’azione di guerra dove nulla è stato lasciato al
caso. Dal nome, Operazione Mare Nostrum, a indicare la piena sovranità su uno
specchio d’acqua frontiera Nord-Sud, muro invalicabile per la moltitudine di
diseredati in fuga da sanguinosi conflitti e inauditi ecocidi. Il Comando
operativo, poi, assegnato al Capo di Stato Maggiore della Marina militare. E i
mezzi aeronavali impiegati: cacciabombardieri, elicotteri da combattimento, navi
da sbarco, fregate, sommergibili e, a bordo, i reparti d’élite delle forze
armate. L’Italia torna a fare la guerra alle migrazioni e ai migranti nel
Mediterraneo, sfruttando strumentalmente la tragedia accaduta a poche miglia da
Lampedusa il 3 ottobre 2013. Allora morirono 364 tra donne, uomini e bambini
senza che l’imponente dispositivo aeronavale nazionale, Ue, NATO e extra-NATO
che presidia ogni specchio di mare, facesse alcunché per soccorrere i naufraghi.
Un’operazione militare e umanitaria, l’hanno ipocritamente definita il
Governo e lo Stato Maggiore della Difesa, rispolverando l’espressione utilizzata
per giustificare gli interventi di guerra in Bosnia, Kosovo, Iraq, Afghanistan,
Libia e Corno d’Africa ed aggirare la Costituzione e il senso comune. “Si
prevede il rafforzamento del dispositivo italiano di sorveglianza e soccorso in
alto mare già presente, finalizzato ad incrementare il livello di sicurezza
della vita umana ed il controllo dei flussi migratori”, recita il contorto
comunicato ufficiale della Presidenza del Consiglio, mettendo insieme
improbabili intenti solidaristici e le immancabili logiche sicuritarie e
repressive.
Vaghi i compiti e le funzioni attribuiti alle forze armate; volutamente
inesistenti le regole d’ingaggio, ma dettagliatissimo l’elenco dei dispositivi
di morte impiegati per rendere off limits il Mediterraneo. All’operazione Mare
Mostrum sono presenti quasi tutte le più sofisticate produzioni del complesso
militare-industriale del sistema Italia. Sul fronte anti-migranti esordisce la
nave d’assalto anfibio LPD di 133 metri di lunghezza “San Marco”, che, come ha
spiegato il ministro della Difesa Mario Mauro, ha la “capacità di esercitare il
comando e controllo in mare dell’intero dispositivo, con elicotteri a lungo
raggio, capacità ospedaliera, spazi ampi di ricovero per i naufraghi e un bacino
allargabile per operare con i gommoni di soccorso in alto mare”. Poi due fregate
lanciamissili classe “Maestrale”, ciascuna con 225 uomini e un elicottero
imbarcato; un’unità da trasporto costiero, classe “Gorgona” per il supporto
logistico; due pattugliatori d’altura classe “Comandanti/Costellazioni”; due
corvette della classe “Minerva”.
Più articolati i mezzi aerei: due elicotteri EH.101 della Marina militare
dotati di strumenti ottici ad infrarossi e radar di ricerca di superficie, da
imbarcare sulla “San Marco” o schierare negli scali di Lampedusa e Pantelleria;
quattro elicotteri AB 212 AS, ancora della Marina, giunti a Lampedusa dopo
essere stati oggetto di inutili operazioni di bonifica anti-amianto negli
stabilimenti di Grottaglie (Ta) e Catania; un aereo Piaggio P-180 con visori
notturni, impiegabile anch’esso dall’aeroporto di Lampedusa; un bimotore Breguet
1150 “Atlantic” del 41° Stormo dell’Aeronautica militare di Sigonella, con
equipaggi misti Aeronautica-Marina, per il pattugliamento marittimo delle aree
interessate; due elicotteri HH-3F e HH-139 SAR (Search and Rescue) del 15°
Stormo dell’Aeronautica di Cervia (Ra), gli unici mezzi con evidenti funzioni di
ricerca e soccorso in mare in caso d’incidenti. Tra personale imbarcato e di
supporto a terra, la nuova crociata anti-migranti conta su 1.500 militari, tra
cui spiccano in particolare quelli di pronto intervento della Brigata “San
Marco”, indicata dai Comandi della Marina come “uno strumento efficacissimo,
capace di rischierarsi rapidamente e di operare in qualsiasi parte del mondo con
particolare riguardo alle attività d’interdizione marittima, all’antipirateria e
alla difesa delle installazioni sensibili”.
Per l’Operazione Mare Nostrum sono utilizzate anche le Reti radar della
Guardia Costiera e della Guardia di finanza, le Stazioni dell’Automatic
Identification System della Marina militare e, per la prima volta nella storia
per operazioni di vigilanza delle frontiere, finanche un velivolo senza pilota
“Reaper MQ 9” del 32° Stormo dell’Aeronautica militare di Amendola (Fg).
Quest’ultimo non è altro che uno dei droni-spia già utilizzati dall’Italia nelle
guerre in Iraq, Libia e Afghanistan (solo in quest’ultimo conflitto il Reaper ha
già totalizzato dal 2007 ad oggi 1.300 sortite a favore delle forze NATO, contro
più di 6.000 obiettivi). Il velivolo teleguidato può volare fino ad 8.000 metri
di quota per oltre 20 ore consecutive, consentendo di realizzare riprese
elettro-ottiche, all’infrarosso e radar. Secondo il Ministero della Difesa, il
drone impiegato in Mare Nostrum “svolge attività di sorveglianza aerea con il
duplice fine di salvare vite umane in pericolo e identificare le navi madri,
utilizzate dagli scafisti”.
“Anche se la missione annunciata è stata definita umanitaria e di
soccorso, desta qualche sospetto la composizione dello strumento aeronavale
navale messo in campo”, ha rilevato Il Sole 24 Ore. In particolare, il
quotidiano di Confindustria pone l’accento sulle caratteristiche delle unità
navali da sbarco e delle fregate lanciamissili, scarsamente utilizzabili in
interventi di soccorso in caso di naufragi. “Si tratta di navi da oltre 3 mila
tonnellate, pesantemente armate, con poco spazio a bordo per ospitare naufraghi
e molto onerose”, aggiunge Il Sole 24 Ore, rilevando invece come queste unità
consentano azioni militari più complesse, “da coordinare magari con il governo
libico”. Anche lo schieramento dei droni e della “San Marco” risponderebbe
all’intento strategico di contribuire al dispositivo di “contenimento” libico
delle imbarcazioni di migranti. “Grazie alla loro autonomia di volo i droni
possono sorvegliare costantemente i porti di partenza dei barconi consentendo
alle navi militari di raggiungerli appena al di fuori delle acque libiche”,
spiega ancora Il Sole 24 Ore. “La nave “San Marco” ospita anche mezzi da sbarco
e fucilieri di Marina: mezzi e truppe idonei a riaccompagnare in sicurezza sulle
coste libiche immigrati recuperati in mare sotto la scorta deterrente delle
fregate lanciamissili”.
Ancora più esplicita l’analisi dell’ex capo di Stato Maggiore
dell’Aeronautica militare Leonardo Tricarico, neopresidente della Fondazione
ICSA (ha sostituito il sen. Marco Minniti del Pd dopo la sua nomina a
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri e autorità delegata
alla sicurezza della Repubblica). “Sul piano tecnico-operativo bisognerebbe
puntare su un robusto passo diplomatico con i Paesi rivieraschi per far sì che i
droni, anziché essere impiegati in una ricerca senza mèta in mare aperto (non
sono mezzi di sorveglianza d’area), vengano utilizzati per il pattugliamento
delle coste libiche, per individuare in maniera precoce le attività preparatorie
all’imbarco e fermarle per tempo”, scrive il gen. Tricarico. “In fin dei conti
con la Libia vi sono già attività di cooperazione avviate, è operante un
contratto per il controllo della frontiera sud, è stato formalmente accettato un
piano italiano di controllo delle frontiere terrestri e marittime, stiamo
addestrando da molti mesi le loro forze di sicurezza”. La rivista specializzata
Analisi Difesa, vicina agli ambienti più conservatori delle forze armate, ha
fatto esplicito riferimento alla recentissima stipula di accordi tra le forze
armate italiane e il premier Alì Zeidan per rafforzare la presenza di polizia
nelle città costiere della Libia e “impedire nuove partenze” di migranti.
“L’obiettivo di riportare in Libia i barconi, bloccandoli appena lasciano le
coste nordafricane – scrive Analisi Difesa - giustificherebbe la presenza di
navi da guerra come le “Maestrale” (utili a esprimere deterrenza contro le
milizie libiche armate fino ai denti) e la “San Marco”.
Legittimo dunque il sospetto di alcuni giuristi e delle associazioni
antirazziste e di difesa dei diritti umani secondo cui con “Mare Nostrum” si
potrebbero ripetere ed ampliare le deportazioni di migranti e richiedenti asilo
che furono eseguite qualche anno addietro dai Paesi NATO in accordo con le
autorità governative libiche. In verità, dopo il varo del governo Letta
dell’operazione militare-umanitaria, lo stesso ministro Angelino Alfano ha
ammesso che i migranti fermati in mare dalle unità della Marina e
dell’Aeronautica potrebbero essere “sbarcati” in alcuni porti sicuri della
sponda sud del Mediterraneo. “Ci sono le regole del diritto internazionale della
navigazione e non è detto che se interviene una nave italiana porti i migranti
in un porto italiano”, ha precisato il ministro dell’Interno. Come sottolineato
dal prof. Fulvio Vassallo Paleologo, componente del Consiglio direttivo dell’ASGI
(Associazione studi giuridici sull’immigrazione), con gli auspicati “sbarchi” di
migranti in porti “sicuri” non italiani, “c’è il rischio fondato che si ripetano
i respingimenti verso i paesi che non garantiscono la tutela dei diritti umani,
come è accaduto nel 2009, quando la Guardia di Finanza italiana riportò in Libia
decine di migranti”. Una pratica per la quale l’Italia è stata condannata, nel
2012, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ulteriori perplessità dal punto di vista giuridico sorgono poi dalla
decisione del governo italiano di assegnare a bordo delle unità della Marina
militare alcuni funzionare del Dipartimento di Pubblica Sicurezza – Direzione
Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere per eseguire in alto
mare le identificazioni e i foto segnalamenti dei migranti “soccorsi”.
“L’attività di prima identificazione compiuta subito dopo il salvataggio non
sembra che si tratti di formalità che si possa adempiere a bordo di una nave in
acque internazionali, quando forse sarebbe auspicabile il più rapido sbarco a
terra”, evidenzia il prof. Vassallo Paleologo. “Ancora più grave sarebbe se a
bordo delle unità impegnate nell’operazione Mare Nostrum si svolgessero veri e
propri interrogatori, senza alcuna garanzia procedurale, magari alla caccia di
qualche nave madre, mentre potrebbero esserci altri barconi in procinto di
affondare. Sui naufraghi reduci da un salvataggio traumatico non si possono
esercitare quelle attività di polizia che si dovrebbero compiere negli uffici di
frontiera con le garanzie procedurali previste dalla legge, con l’intervento di
mediatori culturali e non solo di interpreti, con una corretta informazione
sulle leggi applicate, in modo da salvaguardare il diritto di chiedere asilo ed
i diritti di difesa”.
Le modalità d’impiego del personale di pubblica sicurezza a bordo delle
unità navali da guerra è stato stigmatizzato dal sindacato di polizia COISP.
“Tredici poliziotti sono stati impegnati dal Dipartimento della P.S. e si
occupano di effettuare operazioni di foto-segnalamento di centinaia di
migranti”, denuncia il COISP. “Sono stati imbarcati sulle navi della Marina
Militare senza che venisse fornito loro alcun tipo d’informazione sul
trattamento di missione, alloggiati in ambienti un tempo riservati al personale
di leva, in condizioni inaccettabili e inimmaginabili”. Il sindacato ha poi
rilevato un’“inammissibile disparità” del trattamento economico riservato al
personale delle forze armate e a quello di PS. “Agli agenti della polizia di
stato vengono erogati una manciata di euro per una missione ordinaria, mentre al
personale della Marina viene riconosciuta una indennità giornaliera feriale di
60 euro e di 100 euro per i giorni festivi”. Tra emolumenti e indennità per il
personale e costi operativi dei mezzi aeronavali, l’intervento
militare-umanitario assorbirà una spesa tra i 10 e i 12 milioni di euro al mese.
Il governo non ha previsto stanziamenti aggiuntivi sul capitolo “difesa” ed è
presumibile che il denaro per alimentare la macchina da guerra anti-migranti
sarà prelevato dal fondo straordinario di 190 milioni di euro messo a
disposizione per far fronte alla nuova emergenza immigrazione. Come dire che da
qui alla fine del 2013, gasolio e pattugliamenti aeronavali bruceranno il 20% di
quanto è stato destinato per tutto l’anno a favore del soccorso e
dell’accoglienza dei migranti. L’ennesima vergogna in un Paese sempre meno
libero, democratico ed ospitale.
Antonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, impegnato in progetti di cooperazione allo sviluppo, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. È membro della Campagna per la smilitarizzazione della base di Sigonella. Nel 2010 ha ricevuto il Premio “Giorgio Bassani” di Italia Nostra per il giornalismo. Saggi e inchieste sono consultabili in http://antoniomazzeoblog.blogspot.com.