Un
grande cimitero-pattumiera di tutte
le navi da guerra che saranno
dismesse dalle marine dei paesi
membri della NATO. Prodotti chimici
e idrocarburi, agenti inquinanti e
cancerogeni, rifiuti tossici e
speciali. Da stoccare, maneggiare,
trattare e “bonificare” a due passi
dal centro urbano. A Messina, nel
cuore dello Stretto, lo storico
Arsenale militare è destinato a
divenire il Centro di eccellenza per
la “demilitarizzazione e lo
smaltimento” delle unità navali
dell’Alleanza Atlantica fino a
duemila tonnellate (il cosiddetto
“naviglio sottile”). Lo hanno deciso
a Roma i manager dell’Agenzia
Industrie e Difesa, l’ente di
diritto pubblico istituito nel 1999
per “razionalizzare” le strutture
industriali del Ministero della
Difesa in vista della loro
privatizzazione.
Partner del progetto sarà la NATO
Maintenance and Supply Agency (NAMSA),
l’agenzia logistica dell’Alleanza
con sede a Capellen (Lussemburgo)
che assiste i paesi membri negli
acquisti comuni e nella manutenzione
dei sistemi d’arma, dal primo luglio
di quest’anno sotto il controllo
della neo costituita NATO Support
Agency (NSPA). Secondo quanto
rivelato dalla Gazzetta del Sud,
entro la fine dell’estate una
commissione NAMSA giungerà a Messina
per verificare la tipologia degli
impianti dell’Arsenale e autorizzare
l’arrivo delle prime navi da
rottamare. Per rendere pienamente
operativo il nuovo Centro
d’eccellenza sarà però necessario
realizzare gli “impianti per
garantire la sicurezza ambientale” e
le “aree per l’accumulo di materiali
da smaltire” per un importo di circa
25-30 milioni di euro, con fondi
militari e sotto l’egida
dell’Agenzia Industria e Difesa.
La trasformazione
dell’infrastruttura peloritana in un
centro d’élite NATO è stata
confermata dall’ex ammiraglio Gian
Francesco Cremonini, da una decina
d’anni alla guida dell’Arsenale. “Lo
start up del progetto è stato
avviato una decina di giorni fa”, ha
dichiarato. “Si tratta di una
grandissima occasione per la città.
Su Messina viene indirizzato un
interesse internazionale e di questo
non potrà non trarne un grande
vantaggio anche in termini
occupazionali. Una scommessa voluta
dal direttore generale dell’AID,
l’on. Marco Airaghi, che crede
moltissimo nella nostra struttura e
che rientra in un progetto più ampio
che riguarda tutti gli otto ex
stabilimenti militari, dismessi come
tali e riconvertiti in enti
privatistici…”. Commendatore
dell’Ordine Militense dei Cavalieri
di Malta e parlamentare Pdl dal 2001
al 2008, Airaghi è uno degli uomini
più potenti del sistema
nazional-militare. Oltre a dirigere
l’Agenzia Industrie e Difesa, il
politico lombardo è infatti
presidente della Consulta Nazionale
per l’Aerospazio e vicepresidente
dell’Agenzia Spaziale Italiana
(ASI).
“Per il primo anno arriveranno a
Messina navi già bonificate, non
avendo a disposizione da subito
tutti gli impianti necessari, ma
entro la prossima estate il progetto
potrà essere a regime”, ha spiegato
Cremonini. “Di fatto, nella nostra
struttura verranno inviate, da tutti
gli Stati che fanno parte della
NATO, quelle unità navali che vanno
distrutte o di cui alcuni strumenti
andranno riconvertiti ad uso
civile”. Successivamente, l’Arsenale
di Messina - assieme agli
stabilimenti di Torre Annunziata e
Capua - potrebbe occuparsi della
“demilitarizzazione” dei carri
armati alleati, del “recupero” dei
motori e della loro “conversione in
sistemi eolici”. L’aspirazione a
fare dei mezzi militari un’occasione
di ecobusiness è stata confermata
durante un recente incontro tra l’ex
ammiraglio e i rappresentanti
sindacali di base dell’Arsenale.
“Secondo l’accordo fra l’AID e la
NAMSA, le navi militari
dell’Alleanza dovrebbero essere
smontate nel bacino di Messina per
utilizzarne i pezzi di ricambio
nell’industria energetica, forse nel
fotovoltaico”, ha dichiarato a
Nettuno Press la segretaria
provinciale della Fp Cgil, Clara
Crocè. “Abbiamo chiesto però un
incontro a Cremonini per avere
notizie dirette sul progetto perché
ci sono diversi punti da chiarire
compreso il fatto che Messina,
secondo le notizie approssimative
che abbiamo, non si limiterebbe ad
acquisire la commessa ma
diventerebbe appoggio logistico per
la NATO”.
Dal punto di vista occupazionale, il
progetto è comunque visto con favore
dal sindacato. In città è già
scoppiata la guerra dei numeri: la
riconversione a megacimitero delle
navi militari dell’Alleanza
comporterebbe tra i 200 e i 220
posti di lavoro. Ma nessuna
illusione: non ci saranno nuove
assunzioni anche perché all’Arsenale
è in atto, da tempo, una drastica
riduzione del personale impiegato.
“Quella del progetto è una notizia
positiva”, commenta la Crocè.
“Eravamo ad un passo dall’intavolare
le trattative per il taglio di un
minimo di 72 unità lavorative ad un
massimo di 80. In questo modo il
personale in esubero potrebbe
trovare ricollocazione”.
A commentare positivamente il piano
NATO anche il sindaco di Messina
Giuseppe Buzzanca (Pdl),
Confindustria e il segretario
provinciale della Cisl, Tonino
Genovese. Contro, ad oggi, solo i
rappresentanti della Campagna per la
smilitarizzazione di Sigonella e
della Rete No Ponte. “Il centro
logistico NATO a Messina si aggiunge
alla stazione satellitare MUOS della
Marina USA di Niscemi e allo
schieramento dei droni a Sigonella”,
commenta per i No war, Alfonso Di
Stefano. “Così la Sicilia rafforza
la sua immagine di isola piattaforma
di guerra e pericolosa discarica dei
sistemi di morte obsoleti”.
“Sulla pelle dei cittadini,
esattamente come accaduto con il
Ponte sullo Stretto, viene imposto
ancora una volta un programma
dall’insostenibile impatto
ambientale, sociale ed economico e
dall’assai dubbia rilevanza
occupazionale”, dichiara Gino
Sturniolo dei No Ponte. “Per questo
ci mobiliteremo contro la
rimilitarizzazione della zona
falcata di Messina, un’area
d’importanza storico-urbanistica e
di rilevante bellezza paesaggistica
che deve essere invece tutelata e
bonificata e divenire bene comune
della città”.
Imprenditori, costruttori e
speculatori puntano da tempo ad
accaparrarsi le aree della
centralissima zona falcata occupate
dal Comando militare di Marisicilia
(oggi trasferito ad Augusta) o da
alcuni cantieri navali in via di
dismissione. Nelle mire, ovviamente,
anche il complesso dell’Arsenale che
si estende su una superficie di
circa 55.000 mq di cui quasi la metà
coperta da officine, magazzini e
uffici. Alle dipendenze dell’Agenzia
Industrie e Difesa dal 2001,
l’Arsenale opera attualmente nel
settore della cantieristica navale,
fornendo i servizi di carenaggio
alle unità civili e militari e la
riparazione di scafi, motori,
macchinari ausiliari, impianti
elettrici, armamenti nautici. Con
circa 300 metri di banchine di
ormeggio, un bacino in muratura e
uno galleggiante, l’Arsenale
annovera tra i principali clienti la
Marina militare, la Guardia costiera
e la Guardia di finanza, R.F.I. Spa
e alcune società industriali e di
navigazione (Fincantieri, Rodriquez
Cantieri Navali, Gruppo Tirrenia
Navigazione, Caronte & Tourist Lines,
ecc.).
Negli impianti dell’Arsenale i
lavoratori sono stati lungamente in
contatto con materiali altamente
pericolosi, inquinanti e nocivi per
la salute. A partire dal famigerato
amianto, la cui inalazione durante
gli interventi alle unità navali
avrebbe causato l’insorgenza del
cancro tra alcuni dipendenti.
Nell’aprile 2011 il Tribunale di
Messina è stato chiamato a giudicare
otto alti ufficiali della Marina
militare accusati di responsabilità
nella morte per carcinoma polmonare
di un elettricista civile, Ignazio
Siracusa, impiegato presso il Gruppo
per natanti locali e scomparso nel
2005 dopo lunga agonia. A seguito
della presentazione di due
consulenze redatte per conto della
difesa da esperti della “Cattolica”
di Roma e del Politecnico di Torino
che affermavano “l’impossibilità” di
stabilire una stretta correlazione
tra la forma tumorale riscontrata al
Siracusa e l’assorbimento di fibre
di amianto, il gup Daria Orlando ha
però pronunciato la sentenza di non
luogo a procedere contro gli
imputati, “perché il fatto non
sussiste”.
Dell’Arsenale di Messina si è
tornati a parlare sulle prime pagine
nazionali nel maggio di quest’anno.
A conclusione di un anno di lavori
di “revisione e rimodulazione”,
quattro motovedette Classe 200/S
della Guardia costiera italiana sono
state consegnate al Governo di
Panama in base agli accordi di
cooperazione militare sottoscritti
nel 2010 dal premier Silvio
Berlusconi e dal presidente della
repubblica centroamericana
Martinelli. Le unità, utilizzate
nella caccia ai migranti nel canale
di Sicilia, erano state cedute a
titolo gratuito alle autorità
panamensi in cambio dell’acquisto di
sistemi elettronici Selex ed
elicotteri da guerra Agusta per il
valore complessivo di 160 milioni di
euro. Mediatore dell’affaire l’ex
direttore dell’Avanti, Valter
Lavitola, ricompensato da
Finmeccanica con una più che
sospetta “provvigione” che
sfiorerebbe i sei-sette milioni di
euro. Prima di lasciare i cantieri
dell’Arsenale peloritano, le quattro
motovedette sono state meta di una
visita ufficiale dell’ambasciatore
della Repubblica di Panama in
Italia, Guido Martinelli Endara, già
direttore del Banco Panamà e nipote
dell’omonimo presidente
centroamericano. |